giovedì 21 agosto 2014

TETE du PELVAS (m 2.929): Arete des Gendarmes

Giovedì 21 agosto 2014
Io e Paolino l'Alpino

Le vacanze volgono al termine ed in più temo di avere una bella influenza intestinale... ma in questa stagione così anomala e sfortunata dal punto di vista meteo, non posso rinunciare ad una bella uscita con bel sole, finalmente!
Per di più, ne uscirà una scalata bellissima, una via sorprendentemente divertente e consigliabile.
Sia io che l'Alpino dobbiamo essere di ritorno a casa entro le 18,45; ciò nonostante, optiamo per l'Arete des Gendarmes (5b   D   14L   450 m) alla Tete du Pelvas (m 2.929), nel Queyras.
ViaMichelin me la dà addirittura per oltre 3 ore di auto... Proviamoci lo stesso!
Partenza alle 4,15, guido io.
Al Colle dell'Agnello il termometro segna 1,5°C e scendendo lato francese si porta a lungo sullo 0°C.
Ormai le giornate si sono accorciate, così mi tocca quasi tutto il viaggio al buio; nella valle dopo Chateau-Queyras troviamo nebbia e nuvole basse, che non aiutano il morale.
Il mio intestino non è affatto in ordine, ma tengo duro...
Giungiamo a Valpreveyre, dove posteggio e dove finisce la strada: sono le 6,30.
Dobbiamo attraversare il torrente e seguire il sentiero verso il Col d'Urine, che la palina indica per 2h 30' di marcia:
Ci prepariamo e partiamo; fa freddo, anche perchè la valle è ancora totalmente in ombra.
Alle 6,55 siamo in cammino: il sentiero sale subito deciso tra i boschi e per una mezzoretta sbuffiamo lungo pendenze considerevoli e costanti, fino a uscire su un ampio pianoro erboso, chiuso in fondo dalla nostra montagna:
Cammino davanti, sfruttando l'effetto RedBull che ho bevuto al parcheggio per tirarmi su, dato che non mangio nulla da ieri sera, per timore di problemi intestinali legati al virus...
Fortunatamente vado abbastanza bene, al punto che raggiungiamo il colle dopo solo 1h 40'.
Incontriamo due italiani saliti dalla Val Pellice; subito dopo Paolino fa l'unica cosa che gli viene in mente di fare al... Col d'Urine:
Ora dobbiamo scendere lato italiano, verso est, per circa 30 m, recita la relazione, e traversare a lungo verso sud, fino al Col du Pelvas, da cui partirà la nostra via.
Iniziamo a traversare e raggiungiamo presto una zona sconfinata di enormi blocchi accatastati; più avanti, forse sbagliando, saliamo un po' e la pietraia diventa un odioso detrito in pendenza, da tagliare a mezzacosta...
Dopo circa mezz'ora di fatica, durante la quale abbiamo visto due francesi seguirci, traversare molto più in basso e soprattutto molto più rapidamente di noi, eccoci in vista del colle, con il Monviso (m 3.841) in bella mostra:
Io già mi lamento: possibile che sui siti italiani non sia nemmeno menzionata questa cresta e proprio oggi, proprio adesso debbano arrivare questi due a fregarci la via???
Chi mi conosce sa che per me l'ideale è scalare in alta quota in assenza totale di anima viva...
Ma tant'è... del resto loro potrebbero benissimo pensare la stessa cosa di noi!
Come spesso accade, peraltro, la cordata che ci precede impiega una vita ad attaccare, sembra proprio che ci aspetti lì... così dobbiamo attendere una ventina di minuti prima che io inizi a posar le mani sulla via:
Splende un magnifico sole, finalmente.
La cresta attacca subito con un bellissimo torrione, di cui salgo il diedro sulla destra:
Per poi traversare a sinistra, rinviare il primo spit della via e proseguire lungo un paio di paretine, fino ad un comodo punto di sosta dove recuperare il socio:
Ho ancora materiale, così proseguo in testa, superando un breve strapiombo stranamente dotato di corda fissa... raggiunta la base di una bella parete verticale, mi fermo:
Paolino mi raggiunge e passa avanti: bellissima parete da superare lungo un'estetica fessura (5b), ben protetta a chiodi:
L'uscita è in placca, molto divertente; tocca a me:


Il Monviso alle mie spalle, mentre raggiungo il compagno sul comodo terrazzo di sosta:
Paolino prosegue lungo un tratto facile, un po' rotto; ci avviciniamo alla parte-clou della giornata, il torrione lassù:
Eccomi inquadrato da Paolino, mentre in Italia salgono già le nebbie noi siamo beatamente al sole:
Ed eccoci al tiro chiave della via (5b), che fortunatamente tocca a me.
Prima una serie di splendide placche granitiche, che proteggo con un friend medio:
Poi, dopo aver aiutato in tutti i modi la ragazza francese della cordata che ci precede a superare l'ostacolo, supero un bombé, portandomi verso destra:
Salgo qualche metro, poi traverso a destra per raggiungere il filo di cresta:
Una spaccata decisa, in esposizione:
Un buon chiodo protegge il passo ed uno spit in uscita completa l'opera:
Salgo poi rapidamente la placca verticale che segue e l'aereo ed affilato spigolo che conduce in sosta:
Paolino mi raggiunge poco dopo:
Il mio nido d'aquila, la sosta da cui lo assicuro:
Nuovo cambio, vado avanti attaccando un bel muro, non protetto ma non difficile:

Raggiungo la cima del torrione successivo, dopo bei passaggi sempre vari e su roccia ottima:
Un tratto facile:
Il bellissimo Bric Bucié, dal lato opposto della valle:
Ed eccoci alla calata in doppia letta sulla relazione; l'ancoraggio non è magnifico, ma dovrebbe tenere:
Scendo prima io:
Segue l'Alpino:
Procedo verso una magnifica parete, non difficile:
Sparisco dietro una paretina a sinistra e mi trovo di fronte una placca liscia, molto ben protetta a spit, che traverso salendo verso sinistra, poi doppio lo spigolo con un singolo passo delicato in discesa:
Mi fermo e faccio salire Paolino; la conserva protetta infatti costringe ogni tanto a riunirsi in sosta per scambiarsi il materiale; noi ne approfittiamo per darci il cambio in testa.
Paolino sale ora le pareti che ci portano verso la fine della via e dell'ultimo torrione:
Con bei movimenti e sempre su roccia ottima, eccoci ormai a pochi passi dal termine di questa piacevolissima via:
Giusto sotto la cima, Paolino preferisce fare un tiro di corda assicurato, in placca:
Ci siamo, siamo fuori.
Il problema è che la vetta della montagna dista ancora oltre mezz'ora di cammino su sfasciumi e dobbiamo ancora scendere all'intaglio con una doppia da 20 m.
Doppia che tra l'altro si rivela relazionata in maniera demenziale: essendo scritto doppia da 20 m, abbiamo una corda da 40 m; il problema è che i 20 m di calata ti lasciano in una gola piuttosto disagevole da scendere disarrampicando; insomma, ci starebbe bene una bella calata lunga da almeno 30 m!
L'ora di rientro obbligata però ci impedisce di pensare di salire ancora, così iniziamo la discesa, che sarà lunga e scomoda.
Foto al Col du Pelvas, con dietro gli speroni scalati e la cima vera e propria più in alto:

Via di corsa verso l'auto e poi verso casa, che raggiungeremo appena in tempo:
Dal parcheggio, che raggiungiamo verso le 15,00, ancora il Bric Bucié:

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