Martedì e Mercoledì 14-15 agosto 2007
Io, Manu e Paolino l'Alpino
In una parola: giornate INCREDIBILI!!!
Dopo le emozioni mattutine alle Tre Cime di Lavaredo, lasciamo le Dolomiti su cui cade neve firmata, per approdare in quelle meno alla moda, più selvagge: le Dolomiti Friulane.
Attraversiamo Pieve di Cadore, Longarone ed eccoci alla valle del Vajont.
Salendo lungo la strada, ci fermiamo per vedere da vicino gli effetti del terribile disastro del Vajont, che la sera del 9 ottobre 1963 ha causato 2.500 morti.
Ecco una parte del piano di scorrimento dell'immensa frana che si è staccata dal monte Toc, precipitando nell'invaso artificiale del Vajont:
La diga, rimasta intatta dopo il disastro: la frana, infatti, ha provocato un'immensa onda di piena, che ha scavalcato lo sbarramento e si è riversata a valle; i morti sono stati causati dalla smisurata forza dello spostamento d'aria che precedeva l'acqua, valutata circa il doppio di quella di Hiroshima...
La prospiciente celebre parete di Erto, falesia di riferimento per l'arrampicata in strapiombo; in prossimità dei tetti corre la mitica via Contessa (7a+), disegnata da Mauro Corona:
Dopo tanto parlare, tanto leggere e tanto fantasticare, ecco il nostro trionfale ingresso in quel di Erto!
Visitiamo la Erto vecchia, molto suggestiva, ma in parte abbandonata:
Un "pacato e velato" riferimento agli accadimenti di quel maledetto 9 ottobre 1963:
Ci imbattiamo quasi subito nella mitica (per chi legge i libri di Mauro Corona) Osteria Gallo Cedrone, teatro di mille serate alcoliche ertane:
Nella parte nuova del paese, ecco la bottega dell'istrione:
e... a pochi metri di distanza... eccolo!!!
Lo conosciamo nel suo atteggiamento più tipico, vale a dire... seduto al bar a bere birra e vino!
Lui e Bepin, un arzillo (eufemismo: in realtà è proprio un fiume in piena, un attore nato, un mostro di simpatia!) settantacinquenne ertano, una sorta di padre adottivo per Mauro, dopo la morte recente del padre naturale.
Sono molto aperti e disponibili, ci sediamo con loro e, naturalmente, beviamo con loro, parlando di queste straordinarie vallate e dei loro monti...
Consegniamo a Mauro e Bepin il vino della mia cantina, che porto ad assaggiare ad uno che se ne intende...
Mauro mi lascia una dedica autografa sulla controcopertina del suo libro più celebre, ma non solo: siccome gli abbiamo confidato che siamo qui per scalare il "suo" Campanile di Val Montanaia, mi schizza sul libro la figura della montagna e mi indica la via di salita, con tanto di soste, mentre la commenta!!!
Come tocco di classe, sfuma i contorni intingendo il dito nella birra e passandolo sul disegno... sono senza parole!
Di più: ci dice che è salito in vetta due giorni prima con Erri De Luca (scrittore e scalatore) e che verrebbe volentieri con noi, l'indomani, ma è costretto a presenziare alla festa del Ferragosto ertano...
Ma non esclude di farsi trovare alle 8,30 all'attacco della parete!
Noi ceniamo e montiamo sul pullmino, per andare a dormire alla partenza del sentiero verso il Campanile; entriamo nel Parco di notte, senza pagare, quindi...
Sveglia e... in marcia, splende il sole!
L'avvicinamento dura circa due ore e transita dopo pochi minuti per il Rifugio Pordenone (m 1.249).
Risalendo il vallone tra sfasciumi e ghiaioni, ecco all'improvviso che il nostro sogno ci si para dinnanzi, in tutta la sua grandiosità:
E' il
Campanile di Val Montanaia (m 2.173), che saliremo per la storica e geniale via
Von Glanvell - Von Saar (V D 290 m 9L), che la "rubarono" al grande
Napoleone Cozzi con un noto stratagemma.
Siamo i primi ad approcciare la parete e Mauro Corona non si vede...
Saliamo lo zoccolo della parete sud e ci prepariamo: Manu andrà da primo.
Intanto arrivano altri ragazzi.
L'attacco è segnalato da una fettuccia ed il primo tiro (IV) sale un camino, al termine del quale, dopo 25 m, troviamo la sosta sulla sinistra.
Manu riparte, prima percorrendo qualche facile metro verso sinistra, poi attaccando un breve strapiombo, ben appigliato e con un buon chiodo di sicurezza (IV): nessun problema!
Poi procede salendo la parete articolata, fino alla sosta posta alla base di un diedro-camino (III, 1 passo IV).
A questa sosta facciamo un bel po' di coda... la colpa è di... Manu!!! Infatti scala il camino (IV), esce sulla destra, come da relazione, poi... si perde!!!
Niente da fare, non trova la sosta... Gridiamo, cerchiamo di parlarci, ma niente...
Allora sale uno dei ragazzi di Pordenone che ci seguono, con cui abbiamo fatto amicizia; loro conoscono la via, infatti il ragazzo trova la sosta.
Eccoci, tocca a noi! Parte Paolino, poi salgo io; il passo iniziale è impegnativo, reso insidioso dai frequenti passaggi che l'hanno un po' lisciato...
Poi la via si raddrizza parecchio, ma, una volta usciti sulla destra, praticamente si cammina per un lungo traverso a destra, fino alla sosta su un terrazzino comodo comodo... Ecco la sosta:
In questo punto ci tocca un'attesa di oltre mezz'ora, a causa del traffico. D'altronde, è ferragosto e la giornata è splendida.
Parte Manu, che rimonta la parete (III) e percorre poi una lunga cengia a gradoni verso la parte sinistra della parete. Poi salgo io, senza problemi. Infine tocca a Paolino, che ci regala la frase del giorno: "In gialla la tiro!", riecheggia per la valle... Paolino diventa dislessico, tanta è la concentrazione!
La quarta lunghezza ci ha condotti su un aereo terrazzino, il celebre Pulpito Cozzi, alla base del tiro chiave della via.
Il quinto tiro sale una parete leggermente strapiombante, sfruttando una liscia fessura (la famosa Fessura Cozzi, V) e salendo poi (IV) ad una strettissima cengia, dove si sosta.
Si traversa poi orizzontalmente a sinistra per l'esile cengia (1 chiodo), facile ma incredibilmente esposta, aggirando lo spigolo (1 chiodo) e giungendo ad una nicchia in parete ovest, sovrastata da una fessura camino (Camino Glanvell). Si sosta su un chiodo cementato.
Va avanti Manu, al suo cenno parte Paolino, mentre io lo fotografo:
Invito a risalire la pagina, per vedere il tracciato della via sulla foto ed apprezzare l'esposizione totale di questo tratto (dove sbuca sulla foto di destra, in parete ovest)...
Eccoci tutti in sosta: questa sesta lunghezza è tecnicamente facile, ma angosciante ed entusiasmante allo stesso tempo! Indimenticabile...
Il settimo tiro mi vede assicurare Manu, che scala il camino, all'inizio strapiombante (IV+, 1 chiodo) e quindi più facilmente fino al grande ballatoio detritico che gira attorno a tutta la montagna.
Anche questa lunghezza è fantastica!
Riunitici sul grande ballatoio, ci diamo il cambio al comando della cordata e vado avanti io; l'ottavo tiro di corda (III+) prevede il superamento della parete verticale, ma molto ben appigliata.
Parto per la nona ed ultima lunghezza (III) e con grande emozione esco in prossimità della vetta del Campanile.
Recupero i miei compagni... eccoci!
Siamo in vetta al Campanile di Val Montanaia!!!
Ho letto talmente tante cose a proposito dell'Urlo Pietrificato, come è stato definito, che mi pare di conoscerla, questa cima... mi par di rivedere in vetta tutti i grandi personaggi che l'hanno decantata!
Suoniamo la campana, come impone il protocollo:
Ecco il Bivacco Perugini, visto dalla vetta:
I celebri Monfalconi - Spalti di Toro, tutt'intorno :
Felicità...
Firmiamo il libro di vetta, scattiamo foto e ci godiamo il momento:
Suvvia, è ora di scendere!
La prelazione prevede due calate di 40 e 25 m, per raggiungere il ballatoio, ma noi, consultatici con i nostri nuovi amici che conoscono il Campanile, optiamo per una sola calata con le mezze corde da 60 m, che ci deposita giusti giusti in cengia.
Poco oltre lo spigolo a Nord (in vista del Bivacco Perugini), si rinvengono gli ottimi e rassicuranti ancoraggi per la “Calata Piaz”, lungo il vertiginoso profilo nord.
E' una doppia di 37 m fino alla terrazza a nord del Campanile. La calata è estremamente verticale – solo il breve tratto finale “nel vuoto”. Dopo 25 m di calata c’è una sosta sospesa in paurosa posizione per eventuali due calate brevi (totalmente sconsigliabile)...
Eccomi:
Percorriamo poi la comoda terrazza in leggera discesa su gradoni e detriti, seguendo gli ometti e trovando due anelli cementati sopra la profonda spaccatura (Tacca del Campanile).
Calata da 20 m fino al fondo della spaccatura. Anche questa doppia è estremamente verticale.
Dalla Tacca si scende infine per facili roccette verso est e poi in breve per ghiaie si è di nuovo nei pressi dell’attacco, dove Manu recupera lo zaino.
Breve sosta per sgranocchiare qualcosa, poi... beh, scendendo non facciamo altro che voltarci e stentare a credere che poco prima eravamo là sopra...
Un ultimo sguardo, poi il Campanile scompare, così come era apparso improvviso risalendo la valle:
Che avventura incredibile!