domenica 3 agosto 2008

CERVINO (m 4.478): Cresta Nord-Est (Hornligrat)

Domenica 3 agosto 2008

Io e Manu

E pensare che i "maligni" pronosticavano un brusco stop dell'attività alpinistica dopo il matrimonio... Invece sto inanellando un sogno dopo l'altro, un'estate incredibile!

Grazie alla mia dolce metà, che alla fin fine lascia libero sfogo alla mia malattia alpinistica inguaribile, anche se non così contagiosa...

Da parecchi giorni seguo l'evoluzione delle condizioni della montagna...

Sì, la montagna: c'è bisogno di specificare il nome dell'archetipo di montagna?

La montagna per eccellenza, quella perfetta, così come la disegnerebbe un bambino: una piramide, una freccia proiettata dritta nel cielo, con quattro pareti e quattro creste ideali.

Chiamatela come volete: il più nobile scoglio d'Europa, la Gran Becca, il Matterhorn o più semplicemente il Cervino (m 4.478).

Il programma prevede la scalata della Cresta Nord-Est o Hornligrat (III 45° AD- 1.700 m), dal versante svizzero.

Le previsioni meteo danno temporali venerdì pomeriggio e sera, poi due giorni di altissima pressione, sole pieno e zero termico in rialzo fino a 4.300 m.

Bene, forse ci siamo.

La fortuna mi assiste, poiché ho prenotato cinque posti al rifugio Hornlihutte (m 3.260) oltre un mese fa per il 2-3 agosto.

Purtroppo arriva il forfeit di Paolino e Carlo: mi dispiace moltissimo, ma d'altronde si tratta di una scalata molto impegnativa, che richiede prima di tutto grande motivazione e convinzione, non ammette tentennamenti, come scopriremo nei fatti.

All'ultimo momento arriva la defezione di Giova; una cordata da due è forse l'ottimo, peccato per la compagnia...

Come previsto, la webcam puntata sulla montagna mi trasmette un venerdì con bufere tremende... speriamo che la neve non ci sporchi la parete!

Poco prima che faccia buio, intravedo la montagna e non sembra troppo incrostata di ghiaccio... OK, si va!

Manu viene da me alle 5,00 di sabato mattina e dieci minuti dopo partiamo; non incontriamo traffico, percorriamo la Gravellona Toce, il Passo del Sempione, attraversiamo Visp, Brig ed eccoci alle 9,30 a Tasch, in Svizzera. Gli scaltri svizzeri, infatti, non lasciano arrivare a Zermatt in auto.

Parcheggiamo al Matterhorn Terminal, da cui non dobbiamo nemmeno uscire per salire sul trenino panoramico che in un quarto d'ora ci deposita alla piazza della stazione di Zermatt, una delle grandi capitali mondiali dell'alpinismo:

 

La cittadina brulica di turisti e noi fendiamo la folla carichi di attrezzatura e di sogni.

Alcuni ci guardano come fossimo marziani, altri addirittura ci fotografano: qualcuno, in questo star-system, sembra quasi aver scordato che qui il vero protagonista nella storia è sempre stato l'alpinismo e sinceramente non ricordo di grandi vie aperte dalle presunte cordate Dolce-Gabbana o Gucci-Cartier...

Al termine della via principale, eccolo il Re:

 

L'occhio si spinge subito ad indagare le condizioni di innevamento della cresta nord-est: per fortuna sembra tutto OK. Prendiamo la funivia che ci conduce dai 1.600 m di Zermatt ai verdi prati dello Schwarzsee Paradise (m 2.583).

La vista è mozzafiato:

 

Alla nostra sinistra, verso sud, la splendida catena dei Breithorn (m 4.165):

 

Imbocchiamo il sentiero che conduce al rifugio Hornli: si tratta di una comoda traccia "autostradale", percorsa ogni giorno da centinaia di turisti di ogni lingua e colore, una carovana spinta da un primordiale bisogno di recarsi in pellegrinaggio alla montagna per eccellenza, fino a lambirne le propaggini.

La giornata è splendida, non sappiamo come andrà la scalata, ma noi siamo già contenti così, è già valsa la pena di venire fin qui:

 

Alle 12,30 siamo già al rifugio, dopo 1h 30' di passeggiata.

Come ogni pomeriggio, il Cervino genera il pinnacolo nuvoloso che in parte ne nasconde la parete est e la vetta:

 

La targa all'ingresso della Hornlihutte (m 3.260):

 

Eccoci qua, dopo anni di sogni e parole... alle nostre spalle si stacca la mitica Cresta dell'Hornli:

 

Siccome la prima parte della via sarà percorsa al buio (buio pesto, poiché queste sono notti senza luna, purtroppo...), saliamo per fare una ricognizione e memorizzare i passaggi.

In effetti uno dei rischi principali sul Cervino deriva dal finire fuori via, con serie probabilità di andarsi a mettere nei guai...

 

La via inizia abbastanza "di brutto", con un muro verticale di 15 m da superare con l'ausilio di tratti di corda fissa:

 

Scalata la prima parete, si esce sulla sinistra e si attraversa un versante di sfasciumi in diagonale, salendo verso sinistra, restando al di sotto di una parete di rocce rosse.

Attraversiamo un primo canale che scende dalla cresta, calpestando neve per 2 metri, non di più, e raggiungendo un secondo canale detritico, che risaliamo per una ventina di metri, prima di deviare a sinistra lungo un canalino roccioso, poi una cengia ed infine un breve camino verticale.

Saliamo a destra, con divertenti passi di arrampicata, fino in cima al gendarme:

 

Ci portiamo così sul filo di cresta; Manu con Zermatt alle spalle, quasi duemila metri più in basso:

 

Sono le 16,00, chissà dove saremo tra 12 ore?

 

Da qui, la via prosegue lungo il filo di cresta, con l'ausilio delle corde fisse.

Altri alpinisti fanno la nostra stessa ricognizione: certo, alla luce del giorno è tutta un'altra cosa!

 

Siamo saliti circa un'ora, fino a 3.500 m; torniamo indietro, andiamo a riposare al rifugio, alle 19,00 si cena.

A proposito, non posso dire che il rifugio sia gestito da gente simpatica e gioviale...

In compenso, si respira un'atmosfera davvero particolare, in quanto ci sono alpinisti da ogni parte del mondo: Giappone, Repubblica Ceca, Spagna, Francia, Germania, Kurdistan, Inghilterra.

La cena non è male, comunque, e prima di andare a nanna usciamo a dare un'ultima occhiata a chi presumibilmente domani ci darà parecchio filo da torcere... Sembra un vulcano:

 

Decidiamo con due alpinisti francesi di partire prima delle 4,30, come prevede il "cerimoniale" della colazione alle 4,00... Troppo tardi.

Dormiamo poco e male: uno dei pochi italiani presenti al rifugio russa in maniera incredibile e "l'idea dell'azione vicina suscita in me strane sensazioni e contrastanti pensieri" di gervasuttiana memoria...

Alle 2,10 suona la sveglia: ci siamo!

Io, Manu e i due colleghi francesi scivoliamo via dalla camerata, al buio, e scendiamo: sgranocchio una barretta di cioccolato mentre mi imbrago ed infilo scarponi e ghette, poi si va.

Apro la porta del rifugio ed entro in un mondo a parte: il cielo è stellato, non fa freddo, la sagoma scura del Cervino incombe su di noi.

Percorriamo le centinaia di metri che conducono alla prima parete verticale, poi, non senza emozione, ci stacchiamo da terra ed iniziamo il nostro viaggio verticale.

Sono le 2,50.

Lo zaino non è pesantissimo, ma nemmeno leggero; saliamo con una mezza corda da 60 m, che per ora rimane nello zaino, 8 rinvii, ramponi e piccozza.

E' buio pesto.

Saliamo sicuri lungo il tratto memorizzato ieri, raggiungendo la cresta a quota 3.500 m verso le 4,00; intanto ci hanno raggiunto i due francesi, che ora ci fanno da battistrada, siccome uno dei due ha già salito la via tempo fa.

Afferriamo decisi i canaponi che salgono lungo il filo di cresta e saliamo, saliamo...

Alla nostra destra precipita la parete nord, la mitica nord del Cervino: due puntini luminosi in basso stanno salendo, una cordata sulla nord!

Ma non dobbiamo distrarci, perchè i francesi sono velocissimi e noi vogliamo tenere il loro passo; percorriamo tratti di cresta innevati, con ottima traccia, poi la via si raddrizza: i canaponi ora sono verticali, quasi strapiombanti.

Li salgo con fatica e con un po' di ansia, inghiottiti come siamo nel buio più totale, al seguito di due pile frontali che sembrano volerci sfuggire verso l'alto.

Alla fine, purtroppo, è così: li perdiamo...

Ci ritroviamo soli in un dedalo di diedri, colatoi e buio: una corda fissa ci spinge a salire una placca, ma sopra le difficoltà sono troppo elevate per essere sulla via giusta. Ci caliamo lungo la corda con un nodo machard e saliamo più a sinistra, dove una traversata ci porta verso una conca detritica, che mi par di riconoscere nella relazione di salita.

La percorriamo in orizzontale per un tratto, poi torniamo indietro ed attacchiamo una parete sotto la cresta, nel tentativo di portarci sotto la Capanna Solvay (m 4.003), che da qui si dovrebbe scorgere, se non fosse completamente buio.

Siamo alla ricerca famelica di tratti battuti, con segni di passaggio, ma non è facile...

Finalmente scorgiamo una fila di 7 o 8 lumini che risalgono il versante detritico: traversiamo in gran fretta e li raggiungiamo, andando ad intercettare un costolone roccioso che sale piegando leggermente a destra.

Arrampichiamo in mezzo al gruppetto e finalmente ecco l'alba!

La luce rischiara la via e le idee: eccomi al di sotto della Capanna Solvay, mentre il sole illumina già la Testa del Cervino:

 

Un cavo metallico di sicurezza conduce alla base delle Placche Moseley Inferiori (III-), intitolate all'alpinista americano che qui si slegò e cadde nel 1879.

Tiriamo fuori la corda e ci leghiamo, salendo con un breve tiro di corda:

 

Dietro di noi la natura si risveglia e l'alba infiamma il massiccio del Monte Rosa:

 

Alle 6,45 siamo alla Solvay, a 4.003 m di quota.

 

La classica pausa al bivacco per noi dura poco: occhiali da sole, crema solare, una bevuta e una barretta per Manu.

A tre metri dalla costruzione, utilizzabile in teoria solo per emergenza (...), la via prosegue impietosamente verticale, lungo le Placche Moseley Superiori (III-), dove saliamo in conserva:

 

Come previsto, il meteo è splendido, non si vede una nuvola. Segue un tratto poco sotto la cresta, a balzi da superare in arrampicata facile e meno esposta, dove mi accorgo che Manu ha rallentato la progressione in maniera sospetta... Gli chiedo se vada tutto bene e lui mi risponde con un sì poco convinto, sempre esitando nella progressione. Insisto e lui mi dice che forse sta accusando l'alta quota, visto che siamo oltre i Quattromila metri. Scopriremo in seguito la causa del suo malessere fortunatamente momentaneo: la barretta appena mangiata alla Solvay era già aperta ed aveva un colorito bluastro, essenda pregna del detersivo con cui era stato lavato il pile! Il mix con la fatica e la quota non è stato dei più salutari...

Proseguiamo, dopo qualche frase di sprono da parte mia, legata al fatto che forse mai più troveremo condizioni così favorevoli e che magari rallentando un pochino la situazione possa migliorare, visto che siamo in perfetto orario.

Anzi, rimane davanti lui, mentre affrontiamo un tratto molto faticoso: l'aggiramento ad est di una torre di roccia rossa (Roter Turm), con corde fisse cui aggrapparsi quasi senza appoggi per i piedi:

 

Alla nostra sinistra, lo spettacolo del Rosa, con le affollate piste da sci del Plateau Rosa; il pensiero va all'amico Max, che oggi sta tentando di salire il Breithorn Occidentale (m 4.165), dopo lo stop che abbiamo subito insieme lo scorso anno.

 

Guadagnato il filo di cresta, lo manteniamo per circa 45', fino all'inizio del primo nevaio che ricopre la Spalla del Cervino; ai piedi della cresta, il rifugio si fa sempre più piccolo e lontano:

 

La fatica si fa sentire, mentre il silenzio è rotto periodicamente dal rumore inquietante dell'elisoccorso che continua ad intervenire, nella parte alta della via.

 

Giunti sulla Spalla, la musica cambia: si tratta infatti di un pendio innevato con una pendenza di 45°, lungo il quale 3 o 4 fittoni alti aiutano a proteggersi. Io commetto una leggerezza, mentre ci attrezziamo assicurati ad un fittone: mentre calzo i ramponi, pianto la piccozza nella neve, senza assicurarla con una fettuccia, cosicché una guida ed un cliente, scendendo, la fanno cadere...

Sarebbe la fine della nostra ascensione, oltre che un pericolo per chi sta sotto di noi, se non intervenisse la fortuna ad arrestarla subito su una cengia un paio di metri più in basso...

La guida stessa la raccoglie e me la porge.

Impressionante la rapidità con cui si muovono le guide del Cervino!

Sono all'incirca le 9,00 ed alcuni stanno già scendendo... La maniera stessa in cui li vedo scendere mi spiega i tempi straordinari che compiono: sulle difficoltà, calano il cliente e poi scendono veloci senza assicurarsi, senza calate in doppia e manovre varie. A questo punto devo spezzare una lancia in favore dei clienti, in quanto non è assolutamente vero (come si legge in alcune riviste anche titolate, vedi Meridiani Montagne...) che le guide "portano su di tutto, ciccioni americani o gente mai andata in montagna"; al rifugio, a cena, ho visto solo facce da veri alpinisti, fisici ben forniti, facce bruciate dal sole e sguardi convinti e risoluti.

 

Salito il nevaio, in leggero traverso verso destra, torniamo sul filo di cresta, dapprima nevosa, poi mista.

Qui occorre ancora grande motivazione e birra in corpo, poiché occorre superare la delusione di accorgersi che la Testa del Cervino, così piccola vista dal basso, si presenta in realtà come una vera e propria montagna sulla montagna...

Nella foto, Manu incrocia una cordata in discesa:

 

Procediamo sempre legati in conserva, lungo la cresta nevosa:

 

Alla nostra destra, la splendida Dent Blanche (m 4.357):

 

La cresta mista ci regala lo spettacolo della parete nord, uno scivolo impressionante, e ci conduce verso l'ultimo salto verticale, i Rochers Rouges, dove avvenne la tragedia del 1865: in questo punto caddero 4 dei 7 vincitori del Cervino, durante la discesa.

Attacco io la parete quasi verticale:

Il secondo risalto è addirittura strapiombante, tanto che per superarlo utilizziamo sia la corda fissa, sia un piolo metallico: il pensiero va ai primi salitori, saliti in libera nel 1865... Incredibile!

Siamo stanchissimi, ma ormai ci spingono l'adrenalina ed il "fiuto" della vetta non lontana.

L'esposizione è massima:

 

Spuntiamo infine sul pendio sommitale, ancora un ripido scivolo innevato, con pendenza intorno ai 45° ed un potenziale volo di 3.000 m visibile tra le gambe; Manu è l'ultimo in basso:

 

La possibilità di proteggersi qui è molto aleatoria, l'imperativo è non cadere: pianto bene la piccozza e la punta dei ramponi, la cima è lì, vicinissima:

 

Vado avanti io, faccio sosta ad una fettuccia incastrata in un masso e recupero Manu.

Poi, parto per l'ultima lunghezza, con il cuore in gola e la paura che non si tratti ancora della vera cima... Ma l'ennesimo volo dell'elicottero del soccorso alpino mi convince che ci siamo: compie infatti un volo orizzontale passando poco sopra di noi, per cui non può più esserci nulla di molto più alto sopra di noi...

Mi arrampico sul ghiaccio fino alla celebre statua di San Bernardo, protettore degli alpinisti, posta pochi metri sotto la vetta; non per sacrilegio, ma per assenza di alternative utilizzo la statua per fare sicura a Manu che sale, visibilmente emozionato:

 

E' fatta, ormai ci siamo!

 

Gli ultimi metri, lungo un'esile crestina nevosa:

 

Siamo in vetta al Cervino (m 4.478), il sogno si realizza!!!

 

A nord-est, Zermatt:

 

A sud-ovest, Cervinia:

 

La sottile cresta sommitale che, dalla vetta principale (m 4.478), conduce a quella italiana (m 4.476), passando per la croce di vetta:

 

Sono le 11,20.

Non c'è una nuvola, il panorama è a 360°.

Manu in vetta:

 

Dopo le foto di rito e pochi minuti in cui ho pensato un miliardo di cose, concordiamo di non indugiare oltre, visto che ci aspetta una discesa lunga ed articolata.

Alle 11,45 iniziamo a scendere; scendiamo il pendio finale nevoso a ritroso, faccia a monte, assicurandoci con piccozza e ramponi.

Giungiamo quindi ai Rochers Rouges, da cui ci caliamo in doppia:

 

La mia calata:

 

Fortunatamente il meteo si mantiene perfetto.

Purtroppo l'elisoccorso continua ad intervenire: sinceramente (e fortunatamente) mi sento di dire che gli incidenti sono relativamente pochi, in relazione alle difficoltà, ai pericoli ed al numero di persone che vi si espone...

 

Un soccorritore viene calato dall'elicottero tramite un cavo ed un verricello, proprio a pochi passi da Manu. Massimo rispetto per la professionalità ed il coraggio di queste persone: quando si trova ad un paio di metri dalla cresta nevosa, si sgancia dal cavo, atterra sulla neve e pianta la piccozza per arrestare un'eventuale caduta; pochi secondi dopo si è rialzato e si sta calando lungo una parete rocciosa per raggiungere un alpinista in difficoltà:

 

Dopo circa un'ora abbiamo ridisceso il pendio nevoso sommitale, quindi effettuiamo 3 calate a corda doppia in parete nord e sulla cresta nord-est; qui incontriamo una cordata di spagnoli che sta salendo, uno dei quali con un rampone fuori uso, i quali ci domandano se devono proseguire o meno: ovviamente diciamo loro di scendere assolutamente, ma li lasciamo titubanti sul da farsi...

Proseguiamo la discesa lungo la cresta, legandoci in conserva e disarrampicando lungo tratti di misto. Effettuiamo poi altre calate: ci vuole più tempo, ma è meno faticoso e più sicuro. Teniamo presente che la maggior parte degli incidenti in montagna avviene durante la discesa e che ci troviamo su una delle vette che ha mietuto più vittime, oltre 500...

Alternando le calate, si va delineando un gruppetto di alpinisti, che vede, oltre a noi due, due ragazzi della Repubblica Ceca, un ragazzo inglese, una ragazza giapponese da sola e qualche francese.

La stanchezza è massima...

Ad un certo punto abbandoniamo il filo di cresta, al di sopra della Roter Turm, calandoci a destra per aggirarla: è un bene affrontare in doppia questa sezione, visto che in salita era stato molto faticoso attaccarsi a questi canaponi...

Scendiamo un tratto ancora in cresta e ci portiamo finalmente sopra la Capanna Solvay (m 4.003), precisamente all'uscita delle Placche Moseley Superiori.

Le scendiamo a corda doppia, poi, alla Solvay, i ragazzi cechi stanno decidendo se proseguire la discesa oppure fermarsi a pernottare al bivacco; la stessa tentazione che ha Manu...

Io spingo per scendere, per due motivi: il meteo è splendido e siamo con altri alpinisti che magari conoscono bene tutta la via di discesa; domani mattina magari saremmo soli e poi la notte potrebbe rivelarsi bella fredda, a 4.000 m...

Sono le 17,20, stiamo scendendo da 5 ore e 30'.

Convinco a Manu a proseguire; attrezziamo una corda doppia ancorandoci ad un palo in ferro alto 1 metro e mezzo infisso nel basamento in cemento della Solvay e scendiamo lungo le Placche Moseley Inferiori.

Qui cominciano i dubbi sulla via da seguire in discesa...

Mi consulto con gli altri: nessuno mi dice di conoscere con certezza la via, solo il ragazzo inglese pensa di sì... Anch'io, a parte un "buco" corrispondente al tratto compreso tra le corde fisse in cresta dopo la ricognizione di ieri ed il punto in cui abbiamo intercettato il gruppetto di 7 o 8 luci frontali, sotto la Solvay... Quindi, siamo quasi al mio punto di "buio temporale"...

Dopo la calata, un cavo metallico conduce una ventina di metri più in basso; faccio su la corda e scendo; intanto i nostri colleghi cechi hanno individuato un anello di calata. Ci caliamo anche noi 30 m, poi raggiungiamo un secondo ancoraggio.

Un francese si cala e traversa a sinistra, grida OK e sparisce dietro lo spigolo. Ci caliamo ed aggiriamo anche noi lo spigolo, sempre seguiti dalla ragazza giapponese.

Faccio di nuovo la corda e la infilo nello zaino; scendiamo disarrampicando velocemente, a gradoni successivi, fino a quando alcuni alpinisti si arrestano, incerti.

A me pare invece di ricordare e riconoscere il costolone roccioso di II grado che abbiamo scalato poco dopo esserci uniti al gruppetto di alpinisti in salita, ritrovata la via.

Manu mi chiede se sono sicuro, gli dispiacerebbe abbandonare il gruppetto e ritrovarci soli, ma io sono sicuro che la via è quella; così, noi scendiamo.

Con un certo sollievo, dopo alcuni minuti vedo che anche gli altri hanno deciso di seguire le nostre tracce.

Continuiamo a scendere, seguendo tracce piuttosto evidenti di passaggi precedenti: impronte di scarpe, graffi di ramponi sulle rocce.

Sappiamo che prima o poi dovremo traversare a sinistra e doppiare lo spigolo; passa avanti il ragazzo inglese, decisamente veloce su questo terreno; ad un certo punto segue una cengia e traversa, noi gli domandiamo se sia corretto e lui fa cenno di sì.

Bene, scendiamo e puntiamo alla sua direzione, dove, oltre lo spigolo, troviamo una corda fissa rosa; mi pare di averla vista stanotte...

Poco importa, usiamola! Ci caliamo in doppia, poi riprendiamo a disarrampicare sul facile.

Si fa sempre più tardi... lo spettro del bivacco sperduti chissaddove in parete sul Cervino è lo spauracchio per tutti...

I ragazzi cechi fanno una pausa, noi no: prosegue l'inglese, che ora fa da battistrada, seguito da me e Manu, chiude la fila Naomi Watanabe, la ragazza giapponese.

Con quest'ultima decidiamo di unire ulteriormente le forze, invitandola a calarsi sulla nostra corda per guadagnare tempo e rimanere uniti. Lei accetta, ha un self-control incredibile, non fa una piega!

Arriviamo ad affacciarci su una parete verticale alta una ventina di metri, con una buona sosta con anello di calata; da una parte mi ispira fiducia, nel senso che siamo pur sempre lungo una quache linea di discesa, dall'altra mi inquieta un po' la certezza di essere fuori dalla linea seguita in salita...

Mi calo per terzo e mentre aspetto scatto una foto al gruppo dei Breithorn e del Rosa, che testimonia l'oscurità che avanza impietosa:

 

Prima di calarci, dalla cima di quella parete, scorgiamo una cengia che sembra battuta: leggermente ascendente, sembra raggiungere la cresta.

L'alpinista inglese che ci precede l'ha ispezionata, poi è tornato sui suoi passi e adesso sta scendendo, con difficoltà, la pila frontale già accesa; vaga poco convinto e studia il da farsi.

Manu si è calato per primo e trova un secondo ancoraggio, da cui ci caliamo fino alla suddetta cengia; scende per primo e, mentre faccio su la corda recuperata, lo sento esclamare di gioia, dicendo che da lì partono le corde fisse che scendono lungo il filo di cresta.

Sono le 21,00.

Tra 15 o 20 minuti sarà buio: è una vera fortuna aver fatto in tempo a scorgere dall'alto l'andamento della cengia che ci conduce sulla retta via!

Mi carico la corda al collo e mi precipito a controllare: effettivamente siamo dove speravo, cioè in cima alla cresta cui conducono le corde fisse dal punto in cui abbiamo arrestato la nostra ricognizione ieri pomeriggio.

Ormai conosco bene la strada, scende la notte, ma ci tranquillizziamo.

C'è ancora spazio per un piccolo contrattempo: la pila frontale di Manu è fuori uso...

Scenderà al buio, illuminato dalla luce di Naomi che lo precede e mia che seguo.

 

Scendendo telefono a casa, per tranquillizzare tutti. A tratti, mi fermo a parlare e diversi alpinisti si fermano dietro di me, non sapendo la via da seguire... una scena piuttosto comica, gente di varia nazionalità ferma al buio ad attendere la mia telefonata!

Infine, ci caliamo dall'ultima parete e mettiamo piede sul piccolo nevaio, dove terminano definitivamente le difficoltà. Ci stringiamo la mano, complimenti e ringraziamenti tra tutti, poi percorriamo gli ultimi metri di sentiero fino al rifugio, dove entriamo alle 22,15!

Abbiamo impiegato 10 ore e mezza per scendere, senza mangiare praticamente nulla: inutile sottolineare che siamo a pezzi.

Dopo un incontro con un inquietante personaggio che si aggira al buio nel rifugio, dove tutti dormono da un paio d'ore ormai, ci trasciniamo alla ricerca di due posti liberi e ci corichiamo, esausti.

Alle 4,00, il rifugio trema, ribolle, tutti si mettono in moto: altro giro, altra corsa!

Io e Manu ci guardiamo e pensiamo entrambi: "Ora son tutti caxxi loro!", mentre ci giriamo sull'altro fianco e ci rimettiamo a dormire...

Ci svegliamo con comodo alle 7,20, con abbondanza di acido lattico, ma altrettanta soddisfazione in corpo.

In sala, al piano di sotto, campeggia un poster con indicata la via ed i suoi punti salienti:

 

Io firmo il libro del rifugio, in assenza di quello di vetta sulla montagna:

 

Poi usciamo fuori, ammiriamo quello che abbiamo compiuto e facciamo i migliori auguri a chi sta scalando i fianchi del gigante:

 

Dopo la colazione ed un furto da parte della gestrice del rifugio (60 € pernottamento e colazione per due persone, con tessera CAI...), carichiamo la nostra attrezzatura ed imbocchiamo il sentiero di discesa:

 

La montagna è una presenza magnetica che incombe continuamente su di noi:

 

Percorriamo il comodo sentiero con calma, oggi dobbiamo solo rientrare a casa.

 

Impossibile non voltarsi continuamente a guardarlo e fotografarlo:

 

Anche oggi la giornata è splendida e scendendo incontriamo molti turisti in pellegrinaggio verso le pendici della montagna. Vedendo la nostra attrezzatura, molti ci domandano se abbiamo scalato il Cervino e si illuminano alla nostra risposta affermativa; si informano e si complimentano, poi proseguono.

 

Finalmente eccoci ai verdi prati dello Schwarzsee, dove ci rilassiamo ed io... marco il territorio:

 

Foto di rito prima della funivia:

 

Missione compiuta!

 

Torniamo a Zermatt, che pullula di turisti, e facciamo visita al cimitero degli alpinisti posto dietro la chiesa: molti caduti sul Weisshorn (m 4.505), quasi tutti sul Cervino o Matterhorn (m 4.478)...

Ecco la lapide che ricorda i quattro morti durante la discesa dalla conquista del Cervino il 14 luglio 1865 ed ecco la tomba di uno di loro, il più forte ed il più celebre, la leggendaria guida di Chamonix Michel Auguste Croz:

 

Ed ecco un alpinista che si aggira tra i turisti di Zermatt alla ricerca disperata di qualcosa da mangiare:

Edward Whymper, dopo la tremenda sciagura che funestò la discesa nella grande conquista del Cervino: "Provai gioie troppo grandi per poterle descrivere, e dolori tali che non ho ardito parlarne. Con questi sensi nell'anima io dico: salite i monti, ma ricordate coraggio e vigore nulla contano senza la prudenza; ricordate che la negligenza di un solo istante può distruggere la felicità di una vita. Non fate nulla con fretta, guardate bene ad ogni passo, e fin dal principio pensate quale può essere la fine."

Dedicato a Giovanni.

7 commenti:

kamerlele ha detto...

Che incredibile avventura.
Sono davvero felice...
Ho pianto in vetta, non mi vergogno a dirlo... mi è venuto naturale ed irrefrenabile, un senso di "limite raggiunto" e di riscoperta del valore della volontà e della grande energia che tutti noi abbiamo dentro.

Un grande saluto a Naomi, piccola e forte ragazza giapponese, compagna di discesa, nella notte del Cervino, e a tutti quelli che ci hanno "circondato" e resi meno soli. In uno dei giorni più belli della mia vita.

Grazie a Dani per avermi spronato sopra la capanna Solvay, dove ho avuto una crisi di energie non indifferente. E per essere la vera mente di questo meraviglioso gioco.

Grazie ai due alpinisti francesi che ci hanno accompagnato per le prime, scurissime ore, lungo la cresta.

Grazie al gruppo che abbiamo ripreso lungo il canalone prima delle placche alla Solvay.

Grazie alla guida che ci ha raccolto la piccozza che ci era sfuggita.

Grazie Giò per aver dormito sola per due giorni (speriamo !), per avermi sempre aiutato a prepararmi lo zaino, per avermi preparato il thermos caldo...e scusa se ti ho fatto preoccupare !

Grazie a Paolino e Carlo, senza l'avventura insieme al Pelvoux sono sicuro non sarei arrivato lassù.
Avrei pagato chissà quanto perchè fossimo tutti insieme, ma sono contento che si riesca a fare sempre "quello che ci si sente", questa è maturità.

kamerlele ha detto...

Dimenticavo...come ho fatto :
grazie a quel pazzo di Paolo, che qualche anno fa, dopo anni di lontananza dopo l'università, mi ha portato, per la prima volta... a CAMMINARE IN MONTAGNA !

paolo ha detto...

:-) Grazie a Voi!!

Anonimo ha detto...

Ciao ragazzi, ho letto la vostra appassionata relazione di salita. Complimenti!
Chiedo se è sufficiente una mezza corda da 30 per le calate in doppia?

DANI ha detto...

Ciao, scusa per il "leggero" ritardo nella risposta...
Secondo me è troppo poco: una mezza da 60 oppure eventualmente due da 30 (così nessuno si scammella 60 m di corda da solo...)
Buon viaggio!

Anonimo ha detto...

Complimenti! Grazie per aver condiviso l esperienza

Unknown ha detto...

Spettacolaro! Complimenti!