domenica 1 gennaio 2012

KILIMANJARO (m 5.895): Marangu Route

Martedì 27 dicembre 2011 - martedì 3 gennaio 2012

Io
Che incredibile avventura!
Dopo aver sognato ed organizzato per mesi, finalmente ci siamo...
Le feste di Natale mi vedono con la testa ai preparativi: dappertutto in casa si trovano borse, sacchetti, liste spuntate, borsoni e attrezzatura!
L'ultima distrazione è il cinema del 26, poi arriva il giorno della partenza, martedì 27; fortunatamente il volo è la sera alle 21,50, quindi ho tutto il tempo di ultimare con calma i preparativi.
Poco prima delle 17,00 ecco l'auto dei miei che viene a prendermi per accompagnarmi in aeroporto; a Malpensa le operazioni di check-in sono già in corso e c'è una fila lunga e colorita di gente con tonnellate di bagagli: del resto, il limite della Ethiopian Airlines è molto generoso, 2 valige da 23 kg più 7 kg di bagaglio a mano!
Il volo sul Boeing 767 è confortevole e, a differenza di altre volte, riesco pure a dormire qualche ora.
Alle 6,30 atterriamo ad Addis Abeba, in Etiopia e, dopo un'attesa di 3 ore e 30', si riparte con un altro volo con destinazione Kilimanjaro International Airport, in Tanzania.
Il fuso orario è avanti di 2 ore rispetto all'Italia.
Verso le 13,00 atterriamo, sotto una sottile pioggia, ma con un caldo che mi fa dimenticare subito il rigore dell'inverno europeo. Come sempre, anche stavolta il mio fisico si abitua subito all'estate!
Il mio bagaglio consiste in due borsoni morbidi, come previsto dal regolamento, visto dovranno essere trasportati a spalla dai portatori sulla montagna; niente valige rigide.
Per risparmiare spazio, ho gli scarponi da montagna ai piedi.
Avendo con me il certificato internazionale di vaccinazione contro la febbre gialla ed avendo già il visto sul passaporto, passo davanti a trecento persone ed in pochi minuti ecco già spuntare le mie borse dal nastro trasportatore.
Esco dal gate e trovo una selva di persone con cartello: individuo il "mio uomo", quello con il mio nome indicato, il quale prende il mio carrello con i bagagli e mi invita a seguirlo.
Il mio sguardo è rapito dalla bellezza della bandiera tanzanese, dai suoi splendidi colori.
L'autista mi accompagna ad Arusha e già mi diverto un mondo ad osservare attentamente dal finestrino la vita dello splendido popolo tanzanese; dopo un'ora e mezza, eccoci all'Impala Hotel, dove mi viene assegnata una bella camera; mi ci rinchiudo, temendo la puntura della famigerata zanzara anofele, foriera di malaria.
Ho infatti deciso di ritardare l'inizio della profilassi, per non incorrere in problemi durante la mia salita della montagna. Dal momento che al di sopra dei 1.800 m di quota non c'è pericolo di zanzare, questo è uno dei pochi frangenti in cui sono esposto al rischio; cerco di ovviare con robuste dosi di spray repellente.
A metà pomeriggio scendo nella hall dell'albergo per l'incontro con un incaricato dell'agenzia, per il briefing finale: logistica, orari, verifica attrezzatura.
Faccio la conoscenza con altri due clienti, che saliranno insieme dalla Machame Route: un professore universitario americano ed un simpatico ragazzo dall'Oman.
Ci diamo appuntamento per cena, dove potremo scegliere tra i quattro ristoranti di cui dispone l'hotel: internazionale, africano, cinese ed italiano.
Poi torniamo in camera a chiudere le borse; lascio un bel po' di roba in albergo, durante la scalata: ciò che userò solo dopo durante i safari; poi mi godo l'ultima doccia, non so quando farò la prossima...
Un sms a casa, cena presto e un po' di lettura mi conducono tra le braccia di Morfeo.
La sveglia è alle 6,00; colazione abbondante, alle 8,00 si parte.
Purtroppo il meteo è ancora incerto: non piove, ma le nuvole mi nascondono la vista della montagna...
Dopo quasi un'ora e mezza arriviamo alla cittadina di Moshi, dove entriamo in una sorta di vicolo sterrato, in realtà un vero e proprio mercato:
L'autista ferma l'auto e salgono gli altri ragazzi della mia crew: la guida Rumisha, un portatore ed il cuoco; con loro, carichiamo una quantità notevole di provviste, direttamente dal "negozio":
Arriviamo finalmente al Marangu village, punto di partenza della salita e sede del gate del Kilimanjaro National Park.
Mentre i portatori preparano i carichi, io e la mia guida Rumisha ci rechiamo allo sportello del parco per sbrigare le questioni burocratiche: permesso di scalata, firme, moduli vari.
In un primo momento, ancora all'hotel ad Arusha, mi presentano l'autista come la guida e resterò convinto fino al terzo giorno di salita che la guida non sia Rumisha, ma che (boh?) si farà vivo per le fasi culminanti della salita... In effetti, per tutta la salita vedrò raramente i miei portatori salire, in quanto lo fanno ad orari diversi dai miei, ed anche a ritmo diverso. Quindi io salirò sempre con Rumisha ed alla fine capirò che la vera guida è lui.
Pessimisti, i portatori intanto ricoprono tutti i carichi con coprizaino e teli impermeabili: se lo dicono loro... temo che pioverà...
Mi avvicino al punto di partenza vero e proprio, leggendo i vari cartelli informativi che caratterizzano la zona:
Ci siamo: verso le 11,30, finalmente, con una certa emozione varco la soglia del sentiero della Marangu Route (PD 96 km), mentre i controllori del parco verificano con un dinanmometro che i carichi dei portatori non superino il limite massimo:
Rumisha mi ricorda subito il motto celebre in tutto il mondo, durante la salita del Kili: Pole Pole! - piano piano, per gestire le energie e soprattutto cercare di acclimatarsi a dovere.
Circa un mese fa un uomo è morto a causa del mal di montagna e la gente che rinuncia strada facendo rappresenta il 60-70% del totale...
Il primo giorno il programma prevede la salita dal Marangu Gate (m 1.800) a Mandara Hut (m 2.700), il primo lodge, dove pernotterò; la relazione parla di 5 ore di salita.
Una delle caratteristiche che rendono uniche al mondo la scalata del Kibo è il fatto che si attraversano praticamente tutte le fasce climatiche del pianeta in pochi giorni: il primo giorno parto con circa 27°C e salgo nel pieno della foresta pluviale, splendida:
Saliamo tranquilli, mi guardo attorno ed ascolto i versi di migliaia di animali diversi: respiro l'Africa!
La mia guida mi indica talvolta qualche magnifico uccello colorato o le scimmie che si agitano sui rami degli alberi.
Ovviamente Rumisha e la sua banda parlano swahili e inglese: bene, così migliorerò un po' il mio inglese non proprio impeccabile!
Poco più di un'ora dopa la partenza, ci fermiamo in un'area con tavoli e panchine in legno, dove trovo già i portatori con il fornello acceso, intenti a preparare il pranzo: fantastico!
Mangio una zuppa ed un doppio sandwich caldo farcito con verdure grigliate, bevendo il primo di una infinita serie di litri di thè, ma proprio in quel momento... comincia a piovere.
Siamo in una foresta pluviale, infatti... più che una pioggia, è un diluvio!
Inizia a piovere fortissimo e non smetterà più fino a sera...
Riprendiamo a salire, chiedendo riparo ai moderni materiali waterproof, i quali fanno quello che possono: tengono per un po', ma poi la pioggia torrenziale e prolungata ha la meglio.
Nonostante il sentiero sia sostanzialmente al di sotto di una foresta rigogliosa, mi giunge in testa a secchiate...
Il sentiero stesso si trasforma presto in un torrente: ok, avanti senza pensare troppo, finirà prima o poi...
Infatti, dopo circa 3 ore di cammino, eccoci a Mandara Hut (m 2.700), la fine della prima tappa:
Il campo è molto bello, composto da una serie di piccoli lodge in legno di forma triangolare, ognuno con due accessi, davanti e dietro, e suddiviso in due stanzini trinagolari da quattro posti ciascuno.
Trovo seduto nel mio lodge un ragazzo giapponese, di cui non capisco il nome, ma che si dimostra subito simpatico; cerchiamo di stendere alla meglio la nostra roba completamente zuppa, anche se sarà difficile pretendere che asciughi qualcosa, con l'umidità totale che c'è in giro.
Mi sistemo sul mio letto e leggo il libro di Harrer che mi accompagnerà nel mio viaggio in Tanzania.
Più tardi si aggiunge un terzo ragazzo nel nostro lodge: è un australiano, molto simpatico e socievole, anche lui alle prese con il problema di far asciugare qualcosa...
Alle 18 uno dei portatori (quello che per tutti i sei giorni di salita penserò sia il cuoco, essendo quello che mi porterà sempre il cibo...) viene a chiamarmi, la cena è pronta.
Raggiungo la sala in legno più grande posta in mezzo al campo, adibita a sala da pranzo: su ogni porzione di tavolo sono disposte le tovaglie colorate (la mia sarà sempre quella verde) con piatto, posate e thè, che ogni portatore prepara per il suo assistito.
La cena è ottima, io sono in perfetta forma; l'unico problema è la pioggia...
Dopo cena riesco ad inviare un sms a casa ed ascolto una donna francese, che riconosco essere la mia vicina di posto sull'ultimo volo da Addis Abeba, avvertire la sua guida che la salita per lei è già finita: è un po' influenzata, come avevo già notato in aereo due giorni prima, e con queste condizioni meteo preferisce scendere; il marito invece continuerà la salita.
Mi infilo poi nel mio sacco a pelo e chiudo la mia prima giornata di spedizione in montagna, con l'unico desiderio di svegliarmi con un bel sole.
Invece... al risveglio sta ancora piovendo!
Una pioggia leggera, ma costante. Ottima ed abbondante colazione: assaggio per la prima volta in vita mia il porridge, tipica colazione anglosassone, che trovo piuttosto buono; proseguo con salsicce, pane tostato e frutta, il tutto innaffiato da molto thè, ovviamente di marca Kilimanjaro, così come l'acqua minerale!
Si riparte: il programma oggi prevede la salita da Mandara (m 2.700) a Horombo Hut (m 3.720), con uno spostamento orizzontale di quasi 12 km!
Il tempo previsto è di 6 ore. Sotto la pioggia, non sarà il massimo della vita...
Stavolta indosso anche le ghette sugli scarponi, oltre al poncho, per evitare che troppa acqua vi si riversi dentro: comincio infatti a realizzare che il mio problema principale potrebbe rivelarsi avere scarponi e piedi bagnati quando raggiungerò la parte alta della montagna, dove le temperature scenderanno sotto zero...
La pioggia fortunatamente non è forte come ieri, ma pur sempre fastidiosa; inoltre, continuo a non aver ancora visto... il Kilimanjaro, nonostante lo stia salendo!
Salendo sempre a buon ritmo, in quattro ore e mezza raggiungo Horombo, dove subito i miei ragazzi preparano il pranzo, nella grande sala appositamente allestita.
Si dorme in lodge in legno triangolare del tutto identici a quelli di Mandara: stavolta sono con due simpaticissimi olandesi, padre e figlio (Thomas), cui si aggiungerà più tardi un ragazzo francese, solitario come me, reduce dalla vetta della montagna! E' stanchissimo e dice di aver sofferto molto il freddo, la mattina in cima.
Dopo cena, vale a dire prima delle 20, siamo tutti a nanna nei sacchi a pelo, ognuno perso nei suoi pensieri: io resterò a Horombo per la giornata di acclimatamento, il francese ripensa ai fasti della vetta conquistata, mentre i due olandesi sono molto tesi in vista della salita al Kibo Hut (m 4.700) e dell'attacco alla vetta che inizieranno la sera seguente alle 23.
L'indomani, terzo giorno sulla montagna, ci svegliamo verso le 5,30, anche se io potrei dormire ancora.
Finalmente penetra la luce nel lodge: quando usciamo, infatti... il sole!!!
Mi precipito fuori: fantastico, il sole e, finalmente, la vetta è visibile, anche se ancora molto lontana:
Per prima cosa, mi affretto a stendere sui massi intorno al lodge tutte le mie cose bagnate, a partire dagli scarponi e dalle calze...
Poi mi aggiro per il campo facendo qualche foto:
Il mio lodge, sollevato da terra come gli altri per evitare l'intrusione di topi:
L'interno: io ho dormito a destra, in alto la roba del francese e a sinistra l'ultimo borsone degli olandesi, già in procinto di partire verso l'alto:
Il mio programma oggi prevede una breve salita fino alle cosiddette Zebra Rocks, una struttura rocciosa che presenta strisce chiare e scure, meta dell'ascensione fino a Quattromila metri che dovrebbe favorire l'acclimatamento, secondo la famosa regola Climb high and sleep low; infatti tornerò a dormire una seconda notte ad Horombo.
Verso le 8,30 incontro Rumisha: siamo pronti a partire, quando però il sole è già sparito per far spazio a nebbia e nuvole.
Saliamo a velocità tranquilla, come da copione, e purtroppo la mia guida indossa già gli indumenti antipioggia...
Il panorama è già molto diverso rispetto ai giorni scorsi: la foresta pluviale ha lasciato spazio alla brughiera, i cui arbusti diventeranno sempre più bassi e radi:
Continuiamo a salire, io penso quasi solo a far asciugare i miei scarponi: non posso certo salire in cima con 10 o 15 gradi sotto zero con i piedi bagnati... avrei solamente da scegliere a che altezza amputare le mie povere estremità... Speriamo la situazione migliori.
Intanto, mentre continuo a seguire le tracce di Rumisha, che non parla quasi mai mentre saliamo, cerco di monitorare continuamente il mio stato fisico: bene, direi tutto ok, fin qui!
Dopo meno di due ore, ecco le Zebra Rocks:
In effetti, il nome ha un suo perchè...
Gli altri si riposano, Rumisha ed alcuni miei "colleghi" che abbiamo raggiunto poco prima, mentre io mi avvicino a quella che sostanzialmente è una falesia di alta quota:
Nessun segno di chiodatura, però.
Scendiamo: a parte qualche goccia, non pioverà per oggi.
Tornato al campo, mi dicono che devo cambiare lodge: ok, sposto la mia roba in un'altra struttura poco distante e... chi incontro? Il mio amico giapponese con cui ho pernottato a Mandara. Anche lui mi dice di trovarsi in perfetta forma, per il momento.
Solita cena alle 18,00, poi mi preparo la roba, lavo i denti e mi infilo nel sacco a pelo.
Mi viene in mente che oggi è il 31 dicembre: però... la sera di Capodanno, a letto alle otto!
Il mio programma stilato a casa prevedeva che stasera iniziassi a prendere la prima delle dosi ridotte di Diamox, il diuretico notoriamente efficace per prevenire il mal di montagna: visto che mi sento benissimo, che ho usuffuito del giorno di acclimatamento e che non ho mai sofferto fino ad oggi in montagna, decido di non volermi sobbarcare eventuali effetti collaterali e non assumerò medicinali.
Intanto si sono aggiunti due coniugi belgi, che sinceramente non mi paiono avere proprio il fisique du role...
Come sempre, l'unica vera speranza è che il meteo sia bello...
Il programma domani prevede la salita alla Kibo Hut (m 4.700) e poi la notte successiva... il tentativo di vetta.
Come al solito, la sveglia non serve: un po' la sveglia biologica, un po' il movimento di altri nel lodge... eccomi sveglio: mi pare che entri molta luce dall'esterno. Infatti, appena apro la porta, un sole spettacolare brilla in cielo!
Mi vesto e, carico di aspettative, scatto foto al campo:
I preparativi fervono tra le guide ed i portatori; qui c'è sempre movimento, in ogni campo si incrociano continuamente quelli che salgono e quelli che scendono.
Dopo colazione, preparo le mie borse e mi dirigo impaziente verso l'angolo delle guide, cercando Rumisha con lo sguardo.
Eccolo! OK, ci siamo, prendo lo zaino in spalla e siamo pronti a partire, mentre i portatori verificano la consistenza dei loro carichi, tra grandi risate ed un clima decisamente allegro e cameratesco:
Saliamo, si sta benissimo e mi sento bene: per circa un quarto d'ora ripercorriamo il sentiero di ieri verso le Zebra Rocks e la Mawenzi Hut, poi svoltiamo a sinistra e continuiamo a salire in mezzo alla brughiera di alta montagna.
Più tardi, raggiungiamo la sommità di un risalto e la vista si apre sul cono sommitale del Kili, ancora molto lontano:
Qua e là spuntano rocce basaltiche, quando ormai siamo oltre i Quattromila metri di quota:
La salita è un susseguirsi di pendii con salita abbastanza marcata con altri pressoché orizzontali, infatti lo sviluppo orizzontale di questa via è decisamente marcato: 48 km!!!
Rumisha, con il Mawenzi (m 5.149) alle spalle:
Ecco il cono sommitale che pian piano si avvicina, con i suoi ghiacci eterni, nonostante siamo a soli 3° di latitudine dall'equatore:
Verso quota 4.200 m, oltrepassiamo l'ultimo possibile punto di rifornimento d'acqua, dopo il quale la brughiera lascia spazio al deserto di alta quota e non troveremo più acqua, nemmeno al rifugio:
Rumisha si fa fotografare con la vetta ed il sentiero come sfondi:
Lui ha già percorso molte volte la via, per me invece è tutto nuovo, ad ogni curva mi imprimo tutto nella mente, come sempre in montagna:
Sono in forma e finalmente tranquillo, i mie scarponi sono asciugati e posso guardare con fiducia alla vetta.
Anzi, Rumisha mi spara una mezza proposta che mi lascia un po' spiazzato: dice che ormai ha notato che fisicamente sono in forma e in montagna so il fatto mio; in più, finalmente la giornata è splendida anche dal punto di vista meteorologico, per cui non esclude la possibilità di proseguire oltre la Kibo Hut e puntare direttamente alla cima già oggi, bruciando una tappa!
Il programma classico prevede salita di 1.000 m di dislivello fino alla Kibo Hut (m 4.700), in 5 o 6 ore, poi pranzo e riposo fino alle 23,00, l'ora della sveglia per partire a mezzanotte verso la cima, da raggiungere in 7-8 ore.
Intanto ora siamo abbastanza vicini al cono terminale della montagna affinché Rumisha possa indicarmi quella che sarà la nostra via di salita durante l'ultimo balzo verso la vetta:
L'ambiente è veramente incredibile: deserto di alta quota, quando ormai siamo a circa 4.500 m di altitudine:
Frattanto, incontro una piccola comitiva di alpinisti che scendono, con la loro guida: due di loro sono i miei amici olandesi, padre e figlio, che mi dicono che purtroppo non sono riusciti a salire in vetta a causa del freddo intenso e soprattutto del mal di montagna.
Pazienza, dico loro, la montagna di lì non si muove e si può sempre ritornare (in realtà, sappiamo tutti che mi gireranno parecchio le scatole, se facessi la stessa fine...); li saluto con l'augurio di incontrali da qualche parte sulle nostre Alpi, poi proseguo.
Alla mia destra, il bellissimo Mawenzi, che stiamo praticamente aggirando dal primo giorno:
Finalmente siamo in vista del rifugio, anche se il tratto finale pare interminabile:
Dopo sole 4 ore, eccomi varcare l'ingresso della Kibo Hut (m 4.750):
Il sole splende alto in cielo, ma qui tira un vento gelido decisamente fastidioso.
Mi assegnano la stanza, nella quale c'è un tavolo su cui la mia crew mi serve il pranzo; insieme a me stanno pranzando due americani che avevo già notato ad Horombo due giorni fa: sono semplicemente distrutti... Uno dei due, che avrà almeno 60 anni, si addormenta da seduto, mentre l'altro non riesce a stare in nessuna posizione, scosso da crampi continui...
Intanto Rumisha mi conferma che se voglio possiamo tentare la salita subito dopo mangiato, partendo nel primissimo pomeriggio e tornando ovviamente stasera col buio.
"Se lo dici tu... per me va bene, proviamoci: mi sento bene e non sono troppo stanco dalla salita di stamattina".
OK, mangio e subito dopo indosso gli abiti pesanti: pantaloni di alta quota, doppi calzettoni, lenti a contatto per poter usare gli occhiali da ghiacciaio e giacca a vento nello zaino, insieme alle ghette ed ai doppi guanti (windstopper e piumino).
Tra lo stupore generale (il rifugio ospita una sessantina di persone, più tuttle le guide ed i portatori accampati nelle tende intorno), alle 13,15 io, Rumisha ed uno dei miei portatori ci avviamo lungo il sentiero che sale in cima, da soli:
Purtroppo non so il nome del mio secondo compagno di salita:
Io indosso uno zaino dal peso non indifferente, mentre la mia guida non ha nulla; il portatore ha il compito di aiutare la guida nell'eventualità che io stia male e debba essere trascinato giù, inoltre da contratto dovrebbe avere la bombola di ossigeno nello zaino in caso di emergenza, insieme al kit di primo soccorso.
Saliamo di buon passo, il vento è freddo, ma niente di grave, per ora.
La giornata si mantiene splendida e man mano che saliamo il panorama si apre a dismisura: alle mie spalle, il Mawenzi inizia a sembrare basso:
Ghiaccio dalle fessure:
Il pendio si impenna, infinito, si susseguono i tornanti verso il Gilman's Point (m 5.681), che sembra non avvicinarsi mai...
Oggi ho il vantaggio di salire alla luce del sole, potendo ammirare il panorama che si apre sempre più, mentre in genere tutto questo tratto viene salito di notte, con partenza alle 24,00; l'unico svantaggio è proprio il fatto di poter constatare continuamente come la cima sembri sempre alla stessa distanza, mentre al buio credo che ad ogni tornante ci si possa illudere che non manchino molti...
Ma prima o poi tutto finisce... così accade anche al lunghissimo pendio sfasciumoso del Kili, che mi conduce finalmente sul tratto roccioso, a circa 5.600 m di quota:
E' qui che avverto chiaramente gli effetti dell'altitudine e dell'aria rarefatta: proprio io che ho la grande fortuna di non aver mai avuto problemi in alta quota, fino ai 4.810 m della vetta del Bianco, ora avverto una sensazione strana: non è malessere, gambe e polmoni rispondono ancora bene, ma la testa sembra insolitamente leggera; ho la chiara sensazione di essere come un paio di metri al di sopra del mio stesso corpo... non saprei come descrivere diversamente cosa provo...
Mi impongo allora di alzare ulteriormente il mio livello di attenzione, la mia concentrazione, sebbene sia una delle mie migliori qualità e abitualmente riesca a mantenerla ai massimi livelli.
Si va avanti.
Rumisha arrampica lungo le facili rocce che ci conducono sul bordo dell'immenso cratere del vulcano:
Finalmente, la prima tappa è raggiunta!
Verso le 16, posso affacciarmi sul cratere del Kilimanjaro, a 5.681 m di quota; incredibile, a soli 3° di latitudine dall'equatore, eccomi tra le nevi eterne:
La lunga cresta che ancora ci aspetta, completamente ghiacciata:
La temperatura che rileviamo è di circa -15°C, a causa del forte vento gelido; il primo step è raggiunto, in meno di 3 ore:
Giusto tributo ai miei fidi compagni di salita:
Dopo le foto, proseguiamo, per giungere in cima prima dell'oscurità.
La temperatura rende l'ambiente freddino...
La traccia è dapprima buona, ma ben presto incontriamo diversi passaggi che esigerebbero i ramponi ai piedi per maggior sicurezza...
Infatti, poco dopo, invece di traversare lungo la traccia ora molto esposta ad una caduta verso l'interno del cratere, deviamo oltre la cresta rocciosa, passando sul lato esterno del cratere, dove la solida roccia offre migliori garanzie; le difficoltà tecniche sono molto contenute, qualche passaggio di II grado.
La cima è lassù, all'incirca in corrispondenza della nuvola visibile a destra, in foto:
Un po' più avanti e grazie allo zoom della fotocamera, ecco la vetta, ora ben visibile:
Usciamo dalla fascia rocciosa e torniamo su un vago sentiero, spazzato da raffiche di vento gelide:
La via sale abbastanza decisa e la fatica dei quasi 6.000 metri di quota ora si fa sentire...
Il passo è lento, ma tengo duro, resto concentrato, continuando a muovere le dita all'interno dei pesanti guanti da alta quota.
Ora raggiungo la parte alta della cresta terminale, la pendenza diminuisce, alla mia sinistra sono rapito dai meravigliosi ghiacciai che dominano l'Africa:
L'atmosfera è assolutamente irreale, resa tale anche dalle luci della sera incombente.
Siamo completamente soli su questa gigantesca montagna vulcanica, a migliaia di km da casa, nel cuore del continente africano...
Rumisha mi precede, mentre il mio secondo compagno è rimasto indietro.
All'improvviso, dopo una svolta da un cumulo di rocce, ecco la cima, ormai vicina:
Guardo ancora i ghiacciai che mi circondano e sono euforico, ormai certo che la cima sarà raggiunta:
Esattamente alle 17,15 del 1° gennaio 2012, sono in vetta al Kilimanjaro (m 5.895), il Tetto d'Africa!
Scatto subito una miriade di foto, nonostante le mani insensibili per il freddo, in tutte le direzioni.
La cresta percorsa fin qui dal Gilman's Point, lontanissimo:
Ancora un meritato tributo-ricordo ai miei compagni, foto che spedirò loro via e-mail:
La mia foto di vetta, la mia prima Seven Summit:
Parte della traccia percorsa in salita e, dietro, il magnifico Mawenzi (m 5.149), che da qui sembra addirittura basso!
L'interno dell'enorme cratere, dove regnano i ghiacci:
E' tardi, è tempo di tornare, la notte calerà presto; come noto, all'equatore praticamente non esiste il crepuscolo e la notte scende rapidamente.
In circa 40 minuti abbiamo percorso tutta la cresta sommitale a ritroso e siamo tornati al Gilman's Point, da dove volgo un ultimo sguardo alla cima:
Verso nord-est, invece, assisto ad uno spettacolo incredibile: il tramonto proietta l'ombra lunga della montagna sulle pianure del Kenya, estendendola per decine di km:
Ridiscendiamo la fascia di rocce al di sotto e raggiungiamo l'infinito pendio sfasciumato; poco prima dell'oscurità, un'ultima fotografia al Mawenzi:
La discesa seguente sarà una folle corsa, una scivolata lunga centinaia di metri di dislivello, grazie alla natura inconsistente del fondo ghiaioso, così alle 19,30 siamo già di ritorno al rifugio, in un tempo record di sole 2 ore!
Raggiungiamo la Kibo Hut alla luce delle pile frontali; il rifugio dorme, del resto il programma normale prevede nanna a metà pomeriggio, sveglia alle 23,00 e partenza alle 24,00 verso la cima.
Cerco di non far rumore, il mio cuoco prepara la cena, che consumo solo in parte, perchè troppo stanco: voglio andare a dormire...
Purtroppo non riuscirò a dormire molto: da un lato le immagini della mia lunga e grandiosa giornata  si susseguono frenetiche nella mente, dall'altro soprattutto l'intero rifugio si mette in subbuglio non molto tempo dopo che mi sono sistemato nel sacco a pelo...
Quando finalmente sono partiti tutti, dopo mezzanotte, penso che riuscirò a dormire; invece, a causa del vento forte e del freddo particolarmente intenso di questi giorni in quota (come so bene, essendo appena tornato da lassù...), meno di un'ora dopo inizia a tornare indietro alla spicciolata la maggior parte dei pretendenti alla vetta.
Il giorno dopo scoprirò che in questi giorni non più del 10% degli scalatori del Kibo è riuscito a guadagnare l'agognata cima.
Chi non è riuscito a salire, scende; i pochi che hanno tenuto duro, non sono ancora tornati; fatto sta che quando mi sveglio, verso le 7,00, il rifugio è quasi deserto.
La mia cuccia:
Dopo colazione, raduniamo la nostra roba e scendiamo anche noi; io parto tra i saluti e i complimenti delle guide, che ieri hanno seguito con lo sguardo il pazzoide solitario che ha proseguito direttamente dal campo a 3.700 fino in cima, con rientro notturno...
Ripercorriamo il deserto di alta quota, che ogni tanto manda messaggi particolari:
Mi volto spesso a rivedere la "mia" cima, che certamente porterò nel cuore a lungo:
Fortunatamente, dopo i primi giorni travagliati a causa della pioggia, è ancora una magnifica giornata e mi posso godere appieno il panorama e la via del ritorno, sempre seguendo il fido Rumisha:
In breve tempo, ancora una volta bruciando le tappe, rieccoci ad Horombo Hut (m 3.720):
Una pausa ristoratrice è d'obbligo: pranzo anticipato, verso le 10,30-11,00.
La vista è magnifica, come non è quasi mai stata nei giorni precedenti quando mi trovavo qui nella nebbia e nella pioggia:
Contrariamente al programma, ancora una volta bruciano le tappe e continueremo a scendere, per andare a pernottare a Mandara Hut (m 2.700), a poca (relativamente parlando...) distanza dal gate del parco.
Ora posso ammirare le peculiarità delle veria fasce climatiche che ho attraversato salendo: il maltempo non mi aveva permesso di vedere più di tanto...
La fauna rigogliosa e pionieristica, che resta abbarbicata alle alte quote, grazie (ora lo so!) alle abbondanti piogge:
Gli infaticabili portatori continuano il loro lavoro, chi scende incrocia quelli che salgono.
Io saluto in inglese gli escursionisti che salgono, augurando loro buona fortuna, e saluto i locals con il loro tipico jambo, ormai così familiare anche per me:
Un piccolo cono ricoperto di vegetazione, forse un'antica bocca di eruzione secondaria:
Mi volto spesso a guardare la cima, ormai lontana decine di chilometri, temendo sempre che sia l'ultima volta che la possa scorgere:
Raggiungiamo il campo e mi sistemo.
Faccio la conoscenza con l'unico italiano incontrato in tutti questi giorni di permanenza in Africa: è siciliano ed è in giro per il continente nero da ben tre mesi!!!
La sera trascorre tranquilla, parliamo a lungo, poi mi dedico alla lettura del mio libro di Heinrich Harrer e scrivo messaggi alla mia famiglia, che sta per mettersi in viaggio. L'appuntamento è tra un paio di giorni, ad Arusha, da dove inizierà un'altra avventura.
Il mattino dopo, l'ultimo mio risveglio sulla grande montagna è accolto ancora da una giornata radiosa.
Dopo la colazione e l'ormai familiare porridge, ci carichiamo in spalla tutto e ripartiamo.
Mi aspetta solo un'ora e mezza di cammino e me lo voglio godere.
Mi rimetto alle calcagna di Rumisha, che stamattina è più loquace del solito.
Alla fine, verso le 10,30, eccoci in vista del gate del parco, la fine del sentiero:
Stretta di mano con la mia guida, mentre ricevo i complimenti delle guardie del parco.
Osservo le iscrizioni dei primi europei giunti fin qui e fino in vetta:
Riconoscente per l'ottimo servizio fornito, scucio volentieri 200 $ di mancia alla mia crew:
Rumisha mi offre un pranzo in un locale decisamente rustico, nel villaggio Marangu.
Poi arriva il nostro autista, man mano che i miei compagni arrivano a destinazione ci salutiamo, fino alla città di Moshi, dove salutiamo anche Rumisha ed il mio cuoco...
Resto solo e l'autista mi conduce verso Arusha; dal finestrino assisto alle curiose evoluzioni di alcuni mulinelli:
Rientrato in albergo, prima di una meritata ed agognata doccia e della sbarbata, una foto celebrativa:
La mia nuova camera:

Fin qui è andato tutto alla grande: ora mi riposerò fino a domani, quando incontrerò moglie e famigliari per iniziare un'indimenticabile vacanza incentrata sui safari nei grandiosi parchi tanzanesi, quali Lake Manyara, Serengeti, Ngorongoro e Tarangire.

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