lunedì 31 gennaio 2011

Paul Preuss


Riporto le parole del mitico Paul Preuss, manifesto dell'arrampicata libera e del purismo e dell'etica nell'alpinismo: ad agosto di quest'anno sarà trascorso esattamente un secolo da questa celebre lettera e dai tempi delle dispute tra il giovane Preuss ed i cultori dell'arrampicata artificiale come Tita Piaz...


Lo so, Preuss è precipitato a soli 27 anni, ma io non predico un'applicazione integralista dei suoi principi, bensì una presa di distanza dalle esagerazioni opposte, che uccidono l'alpinismo e l'avventura.


Gli ausili artificiali sulle vie alpine
di Paul Preuss

Non porto in questa sede lunghe meditazioni filosofiche su questioni legate all'alpinismo; nessun attacco che farà tremare le fondamenta di un orgoglioso edificio vecchio di decenni. Solo idee, saranno riunite qui liberamente idee che mi si impongono mentre mi trovo nel mezzo degli sforzi più attivi e degli impeti dell'arrampicata in montagna. Eppure io stesso non posso dire se il ritratto che sto abbozzando sia perfettamente chiaro, ma mi pare che le singole idee possano essere unite bene in un disegno generale. Solo di una cosa sono certo: che mi trovo praticamente solo a sostenere le mie opinioni, e ogni volta che ne ho espresso qualche elemento, la risposta è sempre stata: “sicuramente un'interessante ideale, ma una nozione folle”.
Come differiscono tra loro l'alpinismo e l'arrampicata, così differiscono i loro obiettivi e i loro requisiti! La soluzione a un problema di arrampicata può avere un valore alpinistico nullo, questo lo sappiamo tutti, e questo non riguarda l'alpinismo più di quanto riguardi l'arrampicata, poiché per quest'ultima la stessa soluzione può possedere un valore altissimo. Dal punto di vista dell'arrampicata non esiste alcuna differenza generale tra la parete ovest del Totenkirchl e qualsiasi altra salita al secondo terrazzo di quella famosa montagna, solamente una qualitativa.
Dal punto di vista dell'alpinista però molte di queste salite sono totalmente prive di valore; la linea di una via è tutto fuorchè ideale, e l'idealità della via gioca certamente lo stesso ruolo per l'alpinismo quanto le difficoltà maggiori o minori, solo in senso opposto. Da entrambi i punti di vista la soluzione a qualunque problema ha valore solamente se portata a termine in modo indipendente, ovvero, senza ausili artificiali. Questo pare essere, per me, il principio supremo tanto dell'alpinismo quanto dell'arrampicata, e con questo giungo alla questione degli ausili artificiali.
Di fronte alle scale portate in passato sulle vie alpine, al rampino di Winkler e ad artifici simili, la gente oggi non ha altro che un sorriso agli angoli della bocca. Ma quando uno scalatore moderno lancia la corda trentasette volte attorno ad un masso, finchè tiene bene, e poi sale lungo di essa, la gente ammira il coraggio, l'energia e la perseveranza di questo gesto.Dove sta la differenza?
Non è nelle mie intenzioni predicare contro le vie con corde fisse: nessun alpinista che ragioni sottovaluta il loro valore per il grosso del pubblico amate della montagna e della natura. C'è qualcos'altro che mi fa pensare, detta in breve: Io credo che la protezione per mezzo di chiodi infissi, in molti casi anche le protezioni in genere, come anche la calata su corda e tutte le altre manovre di corda che tanto spesso rendono possibile la salita di una montagna o che perlomeno sono usate per quello scopo, un ausilio artificiale, e di conseguenza non libere da obiezioni sia da parte degli alpinisti che degli arrampicatori, ingiustificate.Calarsi! “Se vi è un percorso dal quale non si sia in grado di scendere non lo si dovrebbe salire” il punto di vista alpinistico mi dice:”Supera le difficoltà con le tue forze, sia in salita che in discesa”. Questo è il postulato di una convinzione sportiva onesta. Un'ascesa compiuta senza la coscienza che tutto si può fare in libera, tanto in salita quanto in discesa è avventata e non alpinistica. Certamente ogni alpinista e ogni scalatore, anche se con questa distinzione non voglio si pensi che stia dicendo che non si possa essere entrambe le cose contemporaneamente, deve essere in grado di fare una calata; è un mezzo di liberazione in momenti di difficoltà, durante un'improvviso calo della temperatura o al giungere del buio, dopo un incidente o quando si perda la via. Ma non vedo il valore di un traverso del Campanile di Val Montanaia se questo traverso è impossibile senza una corda; arrampicare direttamente sopra a tutte le sei torri del Vajolet mi sembra privo di significato se per farlo è necessario un percorso di ottanta metri nel vuoto. Dove sta il valore di una discesa lungo la parete sud della Marmolada, dalle torri Winkler o Delago,lungo lo Schmittkamin o lungo la cresta Kopftorl se tutte le difficoltà sono superate grazie ad una orda penzolante?
In salita l'ausilio di una corda dall'alto è universalmente condannato, ma quel che vale per la salita deve valere anche per la discesa.
La verginità di una montagna non viene conquistata qualora, nonostante si sia saliti in libera non si sia fatto altrettanto in discesa. Tutt'altro! Vorrei esprimermi con grande chiarezza, ma senza, nel farlo, offendere tutti coloro che si siano mai calati (io stesso l'ho fatto a suo tempo): chi è da condannare, la vittima del furto o il ladro?Lo stesso discorso vale, a mio parere, anche per i chiodi! Non è necessario che sottolinei come usarli come appoggio per il piede non abbia giustificazioni; ma che differenza c'è tra una protezione di cavo fissato e l'installazione di triple corde come protezione per mezzo di chiodi piantati ogni cinque metri sui tratti difficili? Non capisco il valore dei sentimenti, né comprendo il valore del risultato ottenuto se si truffa in questo modo la salita di una parete. Anch'io una volta volevo “conquistare” una parete torreggiante, carico di un negozio di ferramenta e di una piccola bottega di fabbro in ciascuna tasca. Fortunatamente all'epoca fui comunque respinto, e oggi quando ci penso bene, mi accorgo dell'assoluta, disonesta mancanza di sportività dei miei primi passi! (A titolo di esempio, un fatto tratto da una moderna relazione di una via: “La via non si può mancare, dal momento che sale verticalmente, quasi tracciata con il righello ed è segnalata da 22 chiodi.”!!)I passaggi più bizzarri si “fanno” con l'aiuto di corde e chiodi: la gente dondola avanti e indietro su pareti lisce, intere montagne vengono salite grazie a manovre di corda (Torre del Diavolo, Guglia Edmondo de Amicis; per quanto a volte neppure i partecipanti diano pieno valore a tali “salite”!), corde legate a chiodi sono usate come appigli o come “aiuti all'equilibrio”. Eppure l'esperienza insegna che molti di questi punti possono essere scalati in libera e se non è possibile dovrebbero essere lasciati in pace. I chiodi sono troppo di supporto; non devono essere un mezzo per conquistare la montagna. Non voglio giustificare l'amore per il pericolo, che è assolutamente presente entro certi limiti in noi scalatori moderni. Ma pare a me che “se cadi, penderai da tre metri di corda” abbia meno valore etico che il pensiero:”una caduta, e sei morto!”. Se si vuole solamente fare ginnastica su pareti ripide in totale sicurezza, magari con triple corde, o sopra ad una rete di protezione, allora si dovrebbe stare piuttosto a casa, e mettere alla prova le proprie capacità in una palestra. Se non si è in grado anche di fare una salita senza sicura, sia dal punto di vista alpinistico che da quello dell'arrampicata, allora sarà meglio che non si arrampichi affatto. Secondo me, da primi, si ha il diritto di affrontare solo le difficoltà e i pericoli (naturalmente con le eccezioni di pericoli oggettivi come i crepacci e simili) che si affronterebbero da soli con lo stesso spirito.
Non è nelle mie intenzioni rifiutare interamente l'uso della corda; non voglio e non posso portare discredito su questo importantissimo ausilio allo scalatore moderno; eppure mi sembra che in tempi recenti si siano portate a termine troppe scorrettezze tramite di essa. Al di là di tutti coloro che sono trascinati su per la montagna ”come secondi di cordata”, quante manovre rischiose si sono compiute anche dal primo solo perchè legato ad una corda. Esistono persino, secondo me, singoli casi del massimo pericolo in cui mantenere il solido legame tra due scalatori per mezzo della corda è immorale e imprudente. Certamente con l'esecuzione corretta e metodica di una via tali casi non dovrebbero accadere, ma purtroppo noi scalatori sappiamo dalla nostra esperienza che non siamo immuni al caso, e che in circostanze eccezionali capitano cose fuori dal comune. Quando il primo si trovi in una posizione precaria e il secondo in una posizione sfavorevole, totalmente inadatta a fare sicura, è in accordo con il mio modo di pensare, che quest'ultimo sciolga la corda e ne stringa il capo in mano con la massima fermezza possibile! Questa mi sembra una regola umana e ragionevole. A parte il fatto che ogni vita che si può preservare deve essere preservata, a parte il fatto che in caso di caduta è privo di senso e ingiusto trascinare il tuo amico alla rovina insieme a te basandosi sul discorso dichiaratamente ideale del vero cameratismo, questa regola contribuisce ad aumentare l'incerto livello di sicurezza di questi tratti.
In ciascuno di noi, per quanto possiamo essere altruisti, la tutela della propria vita gioca, almeno nel subconscio, un ruolo ben preciso. Con la certezza di non precipitare assieme al proprio amico, nel caso di una sua caduta, il secondo può con maggior calma dedicare molta più forza e attenzione all'arresto, sempre possibile, della caduta, di quella che potrebbe dedicarvi con il pensiero concreto, a causa della posizione sfavorevole in caso di una sfortunato errore da parte del primo, dovendosi aggrappare impotentemente alla roccia con un grosso peso attaccato al corpo! Quante cadute doppie si sarebbero sicuramente evitate con la costante applicazione di questo principio? Grande importanza dovrebbe essere data alla sicura per mezzo della corda, ma affidare tutto e portare a termine tutto affidandosi ad essa è imprudente, ingiustificato e privo di stile! Fare sicura al primo per mezzo della corda è consentito e dovrebbe essere concepito come un mezzo di sollievo, ma non come unico mezzo per rendere possibile una salita. A mio parere ha diritto a dirsi indipendente solamente colui che è in grado di scalare su queste basi. Non dovrebbe avere importanza solo il fatto di aver scalato una montagna e di esserne scesi, ma anche come lo si sia fatto!
Se un cavallo galoppa durante il trotto sarà squalificato per aver avuto un'andatura scorretta. Noi costringiamo l'animale alla purezza dello stile, deve essere tutto permesso all'alpinista che ha facoltà di pensiero? Lasciate che lo stile nell'alpinismo e nell'arrampicata sia un requisito per tutti gli alpinisti e gli arrampicatori. Una volta soddisfatto questo requisito, tutti gli attacchi spariranno da soli.Con queste dichiarazioni non è mia intenzione fare richieste inattuabili; molte cattive abitudini si sono radicate così profondamente che non saranno eliminate con un unico colpo. Di conseguenza ho semplicemente pensato di fare alcuni suggerimenti, suggerimenti che forse troveranno terreno fertile nelle prossime generazioni.Mi si rimprovererà di desiderare una tecnica dell'arrampicata ipermoderna, troppo estrema, una tecnica separata da un mondo di differenza dall'alpinismo del passato. Non vorrei accondiscendere a ciò senza condizioni. Il metodo di esecuzione potrà ben essere diverso, ma l'idea di base a me pare la stessa; io credo di stare promuovendo un ritorno all'alpinismo in decadimento dello stile più puro, all'alpinismo sul cui solido suolo credo di trovarmi, corpo e anima.

Deutsche Alpenzeitung, XI/1, Agosto, 1911

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