venerdì 23 luglio 2021

CIMA della MALEDIA (m 3.061): De Cessole


Venerdì 23 luglio 2021

Io e Stefano

Dopo l'assaggio del 2017, torno alla Maledia per chiudere i conti.

Stavolta la tattica è più ragionevole, prevedendo di pernottare all'ottimo rifugio Pagarì (m 2.650); tra l'altro, sapendo che la sistemazione lì è davvero ottima, sarebbe un peccato perderla...

Anzi, di più: siccome Stefano esce dal lavoro non prestissimo, comunque a un orario che permette di arrivare al rifugio solo per dormire, concordiamo che io salirò prima di lui, per arrivare in tempo per la famosa cena di Aladar, il gestore, cosa a cui tengo molto.

L'obiettivo è la via De Cessole (IV-   AD+   14L   450 m) alla vertiginosa e spettacolare parete nord-est della Cima della Maledia (m 3.061).

Galeotta fu una magnifica foto a tutta pagina sul volume Le Alpi del Sole di Andrea Parodi, che ritraeva il tracciato della via lungo la parete illuminata dal sole del mattino... quella foto mi ha stregato da subito!

Stefano è entusiasta di salire questa parete, come ero certo.

Il meteo è splendido, giovedì saliamo al rifugio, venerdì faremo la via e l'eterna discesa a valle.

Dopo il lavoro, parto e guido veloce fino a San Giacomo di Entracque (m 1.250), attraverso la distruzione post alluvione dello scorso autunno e mi porto al parcheggio, dove già non c'è più segnale telefonico; fa un caldo pazzesco...

Mi preparo, zaino abbastanza pesante, in quanto la via, poco attrezzata, richiede di avere con sè l'armamento pesante, martello, chiodi, nuts, friends, fettucce, mangiare e bere; vestiario sempre poco, per quanto mi riguarda, ma specie il covid richiede di portare in rifugio sacco lenzuolo, pila frontale, ecc.

Pronto, poco prima delle 16 sono in cammino; salgo i primi tornanti, raggiungo e attraverso il lungo Piano del Rasur, poi passo il ponte sul torrente e inizio a salire , dapprima piano, poi con pendenze un po' più sostenute.

Salendo mi volgo indietro:

mentre davanti a me ho sempre la parete ovest della Cima del Lago dell'Agnel (m 2.775), teatro della avventurosa salita di un paio di anni fa, sempre con Stefano:
Nella parte alta, incontro numerosi branchi di stambecchi, piuttosto noncuranti della mia presenza:
Salendo non posso fare a meno di pensare a situazioni strane, tipo a un contrattempo che potrebbe impedire all'amico di raggiungermi al rifugio, senza potermi avvisare, visto che il telefono non prende... che farei?
Ma no, dai, ora inizia a fare un po' meno caldo, la stanchezza c'è ma il richiamo della super cena di Aladar al rifugio la fa da padrone.
Dopo 3h 40' eccomi al rifugio, pensando a quanto ero stato folle a salire in giornata 3 anni fa... in questo momento non avrei nessuna voglia di lanciarmi direttamente in parete per scalare una via lunga e impegnativa, dal punto di vista dell'ingaggio...
La cena è effettivamente ottima, poca gente al rifugio: perfetto.
Mentre finisco di cenare, alle 20,30, ecco Stefano!
Chiacchieriamo fino alle 22, poi tutti a nanna; ci facciamo lasciare colazione pronta per le 5,30, per fare le cose con calma.
Quando ci svegliamo, mangiamo e prepariamo gli zaini, poi usciamo fuori a fare un paio di foto; l'alba, magica:
e la parete con la nostra via, il menu di oggi:
Nella sala cucina troviamo due ragazzi coricati per riposarsi un po' dopo essere saliti da fondovalle, prima di proseguire verso il Gelas (m 3.143); venti minuti prima di noi, lasciano il rifugio e ripartono.
Noi terminiamo i preparativi, poi usciamo a nostra volta, verso le 6,30; la giornata è radiosa:
Percorriamo il sentiero tra la pietraia, scendendo dal rifugio e risalendo sul lato destro (sinistra orografica), giungendo all'altezza del punto di attacco della via, reso evidente dalla macchia scura della roccia posta qualche metro in alto; traversiamo la pietraia fino a scoprire che purtroppo, come spesso accade, quella che da lontano sembra un sottile linea di nevaio residuo si palesa invece come una complessa traversata su neve marmorea, seguita da una crepaccia terminale spalancata su un freddo e scuro abisso...
Al primo tipo di difficoltà poniamo rimedio senza problemi usando i ramponi e la picca-martello di Stefano, che ci passiamo con la corda per passare uno alla volta dall'altra parte.
Al secondo ostacolo invece rispondiamo con inventiva e... acrobazie da funamboli...
Stefano scende per primo nella repulsiva gola tra roccia e ghiaccio, una ventina di metri a monte dell'attacco della via, lungo il canalino che scende alla base della parete; poi per scendere verso l’attacco della via supera un paio di passi super esposti, piedi contro la roccia e schiena contro la neve, sotto le chiappe una quindicina di metri di abisso… poi tocca a me:
La terminale scendendo si allarga e ci permette di camminare quasi normalmente fino all'attacco della via, dopo essere saliti pochi metri fino a un terrazzino; ci leghiamo e mi attrezzo di tutto punto per aprire le danze; sono le 7,40.
Il primo tiro mi vede salire per rampe e diedrini, in diagonale verso sinistra, rinviando un vecchio chiodo, fino a salire un diedro verticale, che per la verità salgo per la placca alla sua destra, fino alla sosta, dopo 40 m, un po' nascosta ma che io trovo subito grazie all'esperienza fatta 3 anni fa, quando sono già passato di qui:
Mi assicuro e faccio salire l'amico:
La sosta, attrezzata con due chiodi:
Ci alterniamo al comando, Stefano mi propone di salire i tiri che si sentirà di salire e per me va benissimo.
Secondo tiro (II+): Stefano rientra nel diedro con un passo a sinistra, per salire ancora qualche metro (II°+), fino ad incontrare una cengia a sinistra (due chiodi); traversa poi a sinistra lungo la cengia quindi sale lungo una rampa rocciosa (II°) fino ad un terrazzino alla base di una placca (2 chiodi, 30 m):

Salgo la terza lunghezza (III+), doppiando lo spigoletto a sinistra per scalare il diedro verticale sovrastante, per poi ritornare a destra, al di sopra della sosta, dove rinvio un buon chiodo; poi inizio a salire traversando a lungo a sinistra, per oltre 30 m, fino ad individuare il punto in cui superare la paretina soprastante, a tratti aggettante e con blocchi dall'apparenza instabile, per guadagnare il comodo terrazzo di sosta:
Questo è il punto che avevo raggiunto nel precedente tentativo.
Stavolta recupero Stefano e proseguiamo senza dubbi; la quarta lunghezza (IV) è definita la lunghezza chiave: resto davanti, attaccando direttamente la placca sopra la sosta, verticale. Raggiunto dopo circa 10 m un chiodo, traverso decisamente a sinistra per 7-8 metri lungo una placca delicata, doppiando uno spuntone, fino ad un terrazzino con chiodi un po' nascosti, per poi scalare direttamente la sovrastante placca biancastra, strapiombante ma ben ammanigliata, in leggero diagonale verso sinistra:
Esco poi su un terrazzino, alla base di un canalino, come da relazione, e trovo finalmente la sosta:
Poco dopo ecco Stefano sulle mie tracce:
Stefano sale poi il canalino detritico che sormonta la sosta, senza difficoltà tecniche reali ma molto insidioso per l'alternanza tra erba scivolosa e rocce instabili...
Attrezza una sosta a nut dopo 30 m, poi lo raggiungo.
Proseguo subito per la sesta lunghezza (III), lungo placche, muretti poco proteggibili ma facili, per portarmi sotto la parete che si raddrizza per portare ad un canale rampa verso sinistra; arrivo a fine corde e non trovo la sosta, poi dall'alto vedo qualcosa una decina di metri in basso, alla mia destra faccia a monte... Sbuffando, scendo disarrampicando e raggiungo il cordone, a cui è attaccato però un solo chiodo, che provvedo a rinforzare con una fettuccia e un nut; faccio salire l'amico, che mi raggiunge:
 Stefano sale il settimo tiro (III), superando la paretina di fronte e uscendo a sinistra, per imboccare il canale rampa che sale verso sinistra a perdita d'occhio; dopo 30 m trova un buon chiodo, che rinforza a dovere con la sua passione viscerale, i nut:

Lo raggiungo rapidamente:

Torno avanti per concatenare le lunghezze 8 e 9, scalando un breve muro (III), per proseguire lungo la rampa rocciosa in obliquo a sinistra, su terreno delicato, fino ad un grosso ometto posto su di un esposto terrazzino (60 m), con sosta da attrezzare:

Stefano sale poi a sua volta:
La sosta che ho preparato, piantando due chiodi a lama:
Stefano è quasi da me:
Il meteo si mantiene magnifico, come da previsioni; pur essendo in parete nord-est, col sole allo zenit facciamo quasi tutta la via al sole; solo adesso abbiamo un paio di tiri da salire in ombra, con temperatura comunque gradevolissima.
Stefano ci pensa un attimo, poi ha voglia di salire lui il decimo tiro (III+). Sale un breve muretto, poi traversa a destra lungo un’esile cengia in esposizione (2 chiodi); superato un breve spancio, la cengia si fa via via più ampia e le rocce più appigliate (II°+). Stefano sale poi un breve muretto (III°-) fino ad uscire in un piccolo circo roccioso alla base di un canalino che sale in cresta (2 chiodi di sosta più un altro chiodo poco più in alto a destra, 50 m):
Lo raggiungo al culmine del divertimento, per proseguire immediatamente lungo il breve e facile 11-esimo tiro (II), lungo una rampa in diagonale a sinistra con cui raggiungo dopo 15 metri il filo di cresta; sono le 14,10:

Di fronte a me, verso sud, il Lac Long, bellissimo:
Qui c'è un po' di campo, quindi ne approfitto per fare una telefonata a casa e dire che è tutto ok. Intanto recupero il socio, che prosegue lungo la cresta, superando il torrione che abbiamo di fronte grazie ad una bella fessura, per fare sosta alla selletta successiva:
Stefano riesce a piazzare anche il suo mitologico bong:
Con un tiro lunghissimo di quasi 60 m mi porto all'ultima sella della cresta, la stessa cresta che avevo percorso integralmente anni fa con Paolino l'Alpino.
Stefano mi raggiunge e prosegue per il 14-esimo ed ultimo tiro, che con una trentina di metri senza più difficoltà ci porta in cima.
Alle 15,00 siamo in vetta alla Maledia (m 3.061); per me è la seconda volta:

In cima sono presenti non una, ma ben due croci:
Uno sguardo al rifugio, da dove senz'altro Aladar ci ha tenuto d'occhio mentre salivamo, visto che ci ha detto che in media la parete viene salita da una cordata ogni 2 anni...
Come già lo scorso anno, visto che io e Stefano facciamo gli anni entrambi in questi giorni, lui estrae dallo zaino una torta di compleanno con candeline:
Dopo aver festeggiato e risistemato gli zaini, fatte su le corde, iniziamo la discesa, quando sono circa le 16,00.
Percorriamo la traccia che ci conduce presto in piena pietraia, scegliamo il canalino di destra (faccia a valle) e scendiamo con attenzione la china cedevole; verso il fondo fortunatamente capiamo che la neve si è ormai ritirata abbastanza da permettere l'aggiramento per rocce, come già avevo fatto anni fa:
Alcuni passi delicati in disarrampicata, ma per me sempre mille volte meglio la solida roccia dell'ingannevole neve...
Siamo a terra senza aver dovuto usare i ramponi e la picca.
Ora come previsto non scenderemo il canalino della Maledia, ma proseguiremo verso ovest, verso il Lago Bianco e il Bivacco Moncalieri, con ancora parecchia neve che mi consiglia di calzare i ramponi, e da lì verso valle a razzo; la parete appena discesa:

Finalmente il lago:
La discesa lungo il sentiero che dal lago raggiunge il Piano del Rasur è infinita, ma tutto ha una fine.
Poco prima delle 21 siamo all'auto, dove ci salutiamo e prendiamo la strada verso casa, con ancora negli occhi gli scorci di un'altra grande avventura vissuta in montagna.
Tante altre seguiranno...

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