lunedì 30 settembre 2019

CIMA del LAGO dell’AGNEL (m 2.775): Aria di Montagna

Lunedì 30 settembre 2019
Io e Stefano

Che giornata, anche stavolta...
Con Stefano combiniamo un paio di giorni fa, in ragione, oltre che della solita voglia e malattia inguaribile, di previsioni meteo che fanno pensare forse all'ultima opportunità stagionale di scalare in alta quota in condizioni quasi estive, anche su una parete ovest.
L'obiettivo è presto definito: Cima del Lago dell'Agnel (m 2.775), nel Vallone del Muraion, lungo la via Aria di Montagna (5c   D+   8L   400 m), via aperta da Spirito Pettavino e soci 21 anni fa e da allora ripetuta pochissime volte.
Alpinismo a tutto tondo, avventura garantita dal luogo selvaggio, dalla scarsa frequentazione, dalle scarne notizie e relazioni, nonché dal carattere dell'apritore: gli ingredienti ideali per una scalata con Stefano!
Prendo ferie e studio la salita, anche se ho ancora nelle gambe la grande course di sabato...
Ritrovo alle 5,30 a Borgo San Dalmazzo, quindi per me sveglia alle 4,00 anche oggi.
Buttiamo tutto sulla mia auto e via verso la Valle Gesso, San Giacomo di Entracque e il posteggio (m 1.210) presso il campeggio dopo la diga.
E' ancora buio pesto quando arriviamo, poco dopo le 6,00.
Un quarto d'ora dopo siamo in marcia, alla luce delle pile frontali. Persino ovvio sottolineare come non ci sia nessuno in giro e come non vedremo anima viva per tutto il giorno.
Attraversando il lunghissimo falsopiano del Gias del Rasour, si fa giorno e indoviniamo i profili delle vette che chiudono il vallone, tra cui il nostro obiettivo, sulla sinistra:

Dopo il ponte, ecco il punto in cui abbandoniamo il sentiero per il rifugio Pagarì (che ha chiuso i battenti ieri), per infilarci nel Vallone del Muraion, seguendo una traccia sempre più vaga:
La valle alle nostre spalle:
La parte alta del vallone, chiuso dalla bastionata rocciosa:
Purtroppo i già radi bolli rossi lungo la labile traccia scompaiono e non si capisce da che parte superare la roccia... Ci infiliamo nel couloir di destra:

All'inizio va bene, poi ci costringe a diversi passi abbastanza impegnativi... non credo sia questa la strada più corretta, ma ormai tornare indietro sarebbe poco simpatico, così saliamo:
Ultimi passi su roccia prima di sbucare su pietraie:
Di fronte a noi la parete, quella giusta fortunatamente:
Alle nostre spalle il sole illumina la parete nord-est della Cima della Maledia (m 3.060):
La relazione parla di ometto alla base della via e di spit verdi visibili... l'ometto non c'è più e solo dopo un po' di tempo vediamo uno spit in alto nella parete... totalmente arrugginito; è però lo spit di Spirito Libero, l'altra via che c'è qui; alla destra, 10-12 metri, eccone un altro, in alto: dev'esere la nostra via!
Ci prepariamo, lascio i bastoncini qui, visto che ci caleremo in doppia come da relazione.
Sono le 10,15, l'avvicinamento da ricercare ci ha fatto perdere molto tempo...
Stefano calcola i tiri in modo che tocchi a me quello chiave, poi via, si va.
Abbiamo 12 rinvii, nut, friend e cordini, anche da abbandono.
La prima lunghezza (5) è lungo una bellissima placca lavorata, su roccia ottima, come sarà per tutta la salita.
Rinvia lo spit, che visto da vicino in effetti fa capire la colorazione originaria verde:
Dopo 50 m, Stefano incontra la sosta, attrezzata con uno spit e una clessidra, con anello di calata:
Lo raggiungo e riparto per il secondo tiro (5); traverso a destra un paio di metri, poi supero un tetto per la linea di debolezza, dopo aver rinviato uno spit:
Al di sopra incontro un altro spit, quindi ancora un chiodo, ma, quando raggiungo la cengia più facile, vago in alto (fine corda), torno in basso, traverso a destra e sinistra, ma della seconda sosta nessuna traccia...
Pazienza, ne attrezzo una e recupero l'amico:
La sosta, difficile da attrezzare non essendoci spuntoni, né fessure decenti... ne trovo una sola, in cui entrano due nut e un microfriend:
Stefano riparte per la terza lunghezza (4), risalendo la cengia per poi salire una placca (spit al suo centro) e uno speroncino, trovando la sosta dove questo diventa più verticale:
La sosta è su uno spit e un chiodo piantato nella terra (speriamo sotto arrivi fin nella roccia...), con un cordone ormai andato:
Salgo ora la quarta lunghezza (4+... in realtà quasi tutti i tiri, a parte L6, ci sembreranno di difficoltà simili, sul quinto grado), salendo lo sperone roccioso che sormonta la sosta, con un paio di passaggi molto divertenti:
Incontro la sosta, stavolta spit e buon chiodo collegati da cordone, dove recupero il socio.
Stefano riparte poi per la quinta lunghezza (5), in traverso a destra fino a risalire sul filo dello spigolo ed emergere dal lato opposto, dove atrtraversa il canale che sarà parte della discesa, da relazione, e raggiunge i due spit di sosta da collegare alla base delle belle placche che seguono.
Eccomi quando sbuco a mia volta oltre il filo dello spigolo:
La sesta lunghezza (5c) è il tiro chiave della via ed è splendida.
Lo sguardo va alle belle placche che salgono diritte, in realtà individuo dopo un po' uno spit completamente a destra:
Traverso, supero un passo interessante, poi vedo un altro spit ancora decisamente a destra, a differenza di quel che sembra indicare lo schizzo dell'apritore...
Bene, mi porto a destra e scalo una placca verticale magnifica, rinviando due spit distanti tra loro almeno 7 metri.
Raggiungo una cengetta, poi vedo un chiodo lungo lo spigolo che sale ancora diritto sopra di me:
Altra bella serie di passaggi, poi in uscita ecco la sosta, che però è su due spit da collegare, nonostante dovrebbe essere una delle soste di calata...
Stefano segue:

Stefano riprende tutto il materiale, poi attacca il settimo tiro (5), anche questo molto lungo, come tutti gli altri, 50 m.
Prima in placca, poi lungo un diedrino, quindi ancora in placca, più facilmente, fino alla sosta:
E siamo all'ultimo tiro, l'ottavo (5).
Salgo i primi metri nel diedro-canale sopra la sosta, poi "salto in groppa" allo sperone roccioso di destra, per seguirlo per quasi 50 m, rinviando credo 3 spit, fin contro una parete scura.
Qui il dubbio, sapendo che poi dovremo calarci in doppia: troverò qui la sosta, contro questa parete, o devo proseguire?
Niente sosta... anzi, dopo un po' trovo un chiodo verde infisso nella parte sinistra della stessa paretina. Ok, dunque devo proseguire.
Salgo ancora, guardando a destra e a sinistra, ma della sosta nemmeno l'ombra...
Dopo qualche metro ecco che finisce la corda... tra l'altro sono in una zona dove è assai difficile trovare qualcosa di decente per attrezzare una sosta, rocce rotte o placche inclinate prive di fessure...
Alla fine mi accontento, tiro come un folle, il socio 60 m più sotto capisce e fa qualche passo oltre la sosta per darmi un po' di corda; raggiungo uno spuntoncino, alla destra del quale una fessura accoglie un friend e un nut, così faccio sosta:
 Stefano mi raggiunge e gli do la brutta notizia:
 
Lui la prende con filosofia, anche perchè poco prima mi stava dicendo che le doppie lungo questa parete non lo ispiravano per nulla: rischio incastro, necessità di attrezzare le calate collegando gli spit, ecc...
Oltretutto la relazione francese che abbiamo menziona la possibilità di uscire verso l'alto, passando per la (lontana) vetta e poi dal Colle dell'Agnel. Certo che così facendo i tempi si allungheranno all'inverosimile, non potendo avvertire a casa del ritardo staranno certamente in pensiero. Per di più io ho lasciato i bastoncini alla base della via, dove in teoria dovevamo transitare al ritorno...
Pazienza, nn possiamo certo calarci da una sosta che non c'è...
Dobbiamo trovare un'uscita verso l'alto: sopra di noi vediamo risalti rocciosi abbastanza facili, per cui facciamo su le corde e saliamo slegati, dopo aver cambiato le calzature.
Purtroppo non posso riprodurre qui la mia faccia quando mi affaccio oltre la selletta che raggiungo poco dopo, sperando di trovare al di là una più o meno agevole discesa: al contrario, mi trovo su un nido d'aquila, affacciato su 150 m di parete verticale e liscia!
Dopo qualche momento di sconforto, studio meglio l'unica via di uscita, a sinistra, dove la crestina che forma la selletta su cui siamo appollaiati si unisce alla parete: purtroppo la parete è piuttosto compatta, solcata solo da una rampa che sale in diagonale verso destra, portandosi in piena parete:
Stefano, vieni su, che qua non è finita...
Tiriamo di nuovo fuori le corde e il materiale, ci leghiamo e decido di tentare a salire, all'avventura...
Quando mi porto in corrispondenza della rampa, come al solito la prospettiva cambia da quel che pareva da sotto... infatti la parete al di sopra strapiomba e non riesco a rimanere in piedi, se non tenendomi...
Studio qualche istante, poi mi decido e vado; dopo pochi passi tornare indietro sarebbe già praticamente impossibile.
SOlo dopo diversi metri riesco a piazzare una protezione per quanto precaria, una fettuccia su uno spuntoncino; poi salgo in verticale la placca compatta, con un paio di passi delicati mi porto a sinistra, arrivo ad afferrare una lama abbastanza buona, piazzo una seconda fettuccia e mi isso al di sopra, fino ad agguantare il filo di cresta con entrambe le mani.
Quando mi sollevo e vedo dall'altra parte, sono felice: terreno facile!
Trovo al di là un ottimo spuntone su cui fare sosta tranquillo e faccio salire l'amico.
Bene, sono le 17,30 e stavolta probabimente siamo davvero fuori dalle difficoltà, ma il problema è che la vetta è molto lontana:
Raggiungere la vetta, scendere al colle e percorrere tutto il sentiero che si congiunge a quello che scende dal Rifugio Pagarì ci impegnerà per 4 o 5 ore prima di arrivare a poter avvertire telefonicamente...
Ma non abbiamo alternative.
Salita la Cima Ovest (m 2.795) della montagna, separata da quella principale (m 2.852) da una lunga cresta, scorgo una possibilità: scendere dritto per dritto, scavallare uno speroncino, sperare che dalla parte opposta si scenda bene e raggiungere così il Lago Bianco dell'Agnel (m 2.291).
Scendiamo, fortunatamente l'intuizione si rivela buona; prima di raggiungere il lago, volgendoci a destra possiamo vedere la selletta su cui siamo sbucati quasi un'ora fa, con il tiro aperto "al buio" per uscirne verso l'alto:
Il Lago Bianco dell'Agnel, che stiamo per raggiungere:
Di fronte a noi, già con le prime luci della sera, la Maledia (m 3.060) e il Rifugio Pagarì (cerchiato):
Verso ovest, la magnifica sagoma del Monviso (m 3.841) al tramonto:
Raggiungiamo finalmente il sentiero che scende dal Pagarì, camminiamo velocissimi, nonostante siamo in ballo ormai da 13 ore, quasi senza pause...
Di fronte a noi, poco prima che faccia buio, la parete che abbiamo scalato:
Poco dopo si fa buio, estraiamo le nostre pile frontali e continuiamo a galoppare lungo il comodo (ma lunghissimo) sentiero; arriviamo all'auto alle 21,10, buttiamo tutto in macchina e via, visto che il telefono non prende nemmeno qui...
A Valdieri finalmente riusciamo a chiamare, mi becco la mia bella ramanzina, ma possiamo tornare a casa più tranquilli.
Si chiude un'altra grande avventura, forse l'ultima possibilità stagionale, visto che le temperature sono previste in forte ribasso tra un giorno o due.

sabato 28 settembre 2019

ROCHERS du GRAND LAUS (m 2.805): Le Bonheur est dans le Pré

Sabato 28 settembre 2019
Io e Lollo


Ci sono quelle vie di cui parli mille volte, che io mi porto da anni nell'elenco degli obiettivi, che dici sempre "questo è l'anno buono". Magari quelle vie presuppongono condizioni particolari, che contribuisco a rendere rari i momenti giusti per salirle davvero.
Questa per esempio richiede allenamento, affiatamento, conoscenza della zona, meteo super-stabile per tutto il giorno, zero termico alto, oltre alle solite condizioni: meteo ok, giorno libero mio e del socio, motivazione alta di entrambi, via in condizioni, asciutta.
La via in questione è Le Bonheur est dans le Pré (5c   D   15L   500 m) ai Rochers du Grand Laus (m 2.802), sopra il Pré de Mme Carle.
Bene, è arrivato il momento giusto e Lollo c'è.
Appuntamento alle 4,30 da Mario, saltiamo sulla mia auto e via verso, come sabato scorso verso la Francia attraverso il Monginevro.
Arriviamo al Pré de Mme Carle alle 7,00, sta facendo giorno solo adesso. Parcheggio al primo ponte sul torrente, all'inizio del pianoro e da qui vediamo già che la prima parte del complesso avvicinamento, il Nevé des Militaires, non ha più neve, per cui non porteremo certo i ramponi:
Lassù, ecco la nostra cima di oggi, tra le nebbie che stanno inghiottendo la zona e che fanno inquietare Lollo, al quale avevo garantito bel tempo, tramite l'infallibile MeteoFrance:
Risaliamo faticosamente il canale detritico, poi, ad un grande masso scuro, tralasciamo la traccia che conduce alle Vires d'Ailefroide del Travers du Pelvoux e prendiamo a destra un'esile traccia tra le erbacce, confortati da un ometto di pietre.
Saliamo fino a finire nel nulla, già dopo aver percorso qualche pericoloso passo di arrampicata tra rocce, erba umida e fango, in esposizione...
Alla fine torno indietro e, poco sopra un ometto, traversiamo a destra, salendo senza traccia, aggrappandoci ad arbusti spinosi, per raggiungere il filo dello sperone, esposto sul canalone; sul lato opposto, ecco la parete che dovremo risalire, con corde fisse e catene:
Raggiungiamo la base della parete e la risaliamo, passando un moschettone nella corda e nel cavo, pur senza appenderci, in quanto specie la corda appare in condizioni poco rassicuranti:
Emergiamo su un pendio camminabile, ci avviciniamo alla parete e iniziamo un lungo traverso di circa 800 m su una sorte di cengione sospeso sul Pré de Mme Carle, alternando una traccia fatta dai camosci a passi su placche appoggiate.
Giunti quasi in fondo, prima del grande canalone sul cui fondo prima precipita, poi scorre il torrente Saint Pierre, volgiamo a sinistra iniziando ad arrampicare su facili placche , in direzione dell'attacco della via:
Le nebbie ci avvolgono ancora ma io continuo a pensare che siano solo sbuffi mattutini dovuti all'evaporazione dell'acqua evidentemente scesa ieri. Lollo mi segue sulle placche, facili ma esposte:
Finalmente ci siamo, alla base dello sperone verticale trovo la sosta che segna l'attacco della via:
Poco dopo le 10,00, ci leghiamo con le due mezze corde da 60 m e partiamo, vado avanti io e quando la corda finirà, partirà anche Lollo per procedere in conserva protetta.
Attacco il muro verticale iniziale (un po' gratuito il primo passo... se fatto diretto è almeno 5c), poi saliamo 3 tiri di quarto superiore veramente belli, verticali ma manigliati, su un ottimo granito, molto ben chiodati a spit dal mitico Cambon:

Raggiungo la prima sosta, la rinvio e proseguo:
Dal secondo tiro la parete si raddrizza:
Lungo il terzo tiro, mi volto, mentre Lollo sta salendo da qualche parte là sotto:
Esco su una cengia, trovo la sosta (S3) e mi fermo per recuperare l'amico:
Lollo mi raggiunge e va avanti per la quarta lunghezza (4c, in realtà nonostante le gradazioni in relazione non incontreremo tutte queste differenze tra un tiro e l'altro, come difficoltà, stando quasi sempre omogenea sul quinto grado); basta conserva, la corda tira troppo e vediamo che non guadagniamo tutto questo tempo, tanto vale procedere a tiri:
L'ambiente circostante è grandioso, mentre gli sbuffi mattutini si dissolvono e lasciano spazio a una giornata radiosa:
Salgo poi il quinto tiro (5b), con alcuni bei passi seguiti da un pilastro più verticale:
Il sesto tiro (5b) è bellissimo, salgo una prima paretina, poi perdo gli spit... vago un po' a destra e sinistra, poi oprto per andare a destra e ci prendo, a una decina di metri ecco lo spit! Dopo una cengetta il tiro si raddrizza ulteriormente, un bel diedro con uscita con ribaltamento a sinistra ed ecco la sosta, anche stavolta con un tiro molto lungo:

Il fronte del Glacier des Violettes alle spalle di Lollo:
Lollo va avanti, prima facilmente, poi con un passo delicato a destra:

Avanti, avanti, la via è lunga, ma la giornata è splendida, ci stiamo divertendo alla grande.
Salgo il tiro successivo, sempre con passi di quinto o quinto superiore:
Lollo mi raggiunge all'aereo pulpito di sosta:
Altri tiri verticali, su ottima roccia, divertenti:

Il Glacier Blanc ci tiene d'occhio:
Lollo "en plein gaz":


A un certo punto le soste non sono più collegate e gli spit si fanno più radi; nessun problema per proteggermi, ma perdo tempo a cercare dove passa la via...
Un tiro fantastico, verticale, su roccia da urlo:
Ormai siamo molto in alto, un traverso a destra mi porta a sostare in una rampa, dove poco dopo mi raggiunge l'amico:
Nel ripartire faccio molta fatica a individuare la linea, finché Lollo non vede quello che sembra uno spit completamente a destra, da cui salgo diritto vicino al filo dello spigolo:
Salgo poi un muro verticale, rinviando un paio di spit e più in alto un chiodo, prima di emergere finalmente al sole e trovare la sosta in una nicchia sospesa, poco sopra; Lollo mi raggiunge:
Vado ancora avanti, l'inizio è facile, poi mi impegno in un traverso diagonale di una ventina di metri, verso destra:
Ambiente supersonico:
Vado a sostare in una nicchia sospesa appena a destra di un diedro scuro e un po' umido:
Alla mia destra il Glacier des Violettes, che avevo percorso 12 anni fa scendendo dalla vetta del Pelvoux (m 3.946) sotto il temporale:
A destra ancora, la vetta della Barre des Ecrins (m 4.102), la vetta degli Ecrins, che ho scalato con Bruno nell'estate 2012, altro grandioso ricordo:
Ora siamo quasi in cima, salgo un passo strapiombante per guadagnare una bella placca, che mi conduce lungo un aereo spigolo, poi lungo un diedro appena sotto lo spigolo (che tengo con la mano destra) salgo fino alla fine delle corde, senza trovare la sosta... Ne attrezzo una su solidi spuntoni, sulla cresta finale, e recupero l'amico:
Poco dopo Lollo sale a sua volta, ormai manca pochissimo:
Parto deciso lungo la cresta dell'ultimo tiro, esposta ma facile, solo un po' rotta, e in pochi minuti sono in vetta:
Da qui Lollo appare sospeso sul vuoto:
L'ambiente ci rapisce:

Lollo sale facilmente il tiro:
Ci siamo! Poco dopo le 15,00 siamo sulla vetta, con il Pelvoux alle spalle:
Che posto, che balcone!

La discesa è lunga, 2 ore o 2 ore e mezza, e richiede attenzione, sia per individuare il percorso, sia per i tratti da disarrampicare, fin quasi al terzo grado, che specie in caso di bagnato sarebbero decisamente poco simpatici...
Alcuni ometti e, alla fine, il ricordo della mia discesa di 12 anni fa ci fanno riconoscere e guadagnare la traccia giusta, che taglia a sinistra, dopo aver sceso pendii su pendii, e riporta in cima al Nevé des Militaires, di cui discendiamo gli sfasciumi fino al Pré, passando sotto la cima scalata e alla sua enorme cengia sospesa:
All'auto è ancora ora di muoversi, un appuntamento serale mi farà battere il record della pista sulla strada verso casa...