sabato 27 giugno 2009

AILEFROIDE (m 1.507): Orage d'Etoiles



Sabato 27 giugno 2009




Io e Paolino l'Alpino

Arriva il venerdì e, manco a dirlo, il meteo peggiora...
Valutiamo diverse alternative durante un summit a casa col fido Paolino: le previsioni italiane non danno garanzie di bel tempo, per cui la scelta cade sulla Francia, sugli Ecrins.
Anche qui diversi siti dicono che il tempo sarà brutto nel pomeriggio, ma noi decidiamo di fidarci di quello che è universalmente riconosciuto come uno dei migliori al mondo: meteo-france.
Sveglia alle 4,30, partenza alle 5,00; a seconda delle condizioni, decideremo se salire al Pré de Mme. Carle (m 1.874) per una via alla Tete du Vallon (m 2.728) oppure rimanere ad Ailefroide (m 1.507) per salire una via su granito.
Arriviamo al nostro familiare campeggio e decidiamo che, sebbene prevalga il sole, ci fermeremo qui e saliremo Orage d'Etoiles (5c max 5c ob D+/TD- 12L 300 m).
Alle 8,00 parcheggiamo e da qui possiamo vedere il tracciato della via che saliremo:

L'avvicinamento oppone qualche ostacolo: un nevaio sorprendentemente compatto inclinato a circa 35-40°, per cominciare; non è un problema, siamo attrezzati: calziamo i ramponi e lo risaliamo tranquillamente.

In fondo, siamo nati pestaneve e ce ne vantiamo:

I problemini vengono dopo: il nevaio finisce, saltiamo letteralmente giù dal suo fronte alto un paio di metri, poi il canalone prosegue con una placca sporca...
Paolino prova a risalirla, ma gli scivola un piede (sempre più rispetto per i nostri antenati che scalavano grandi pareti con gli scarponi ai piedi!!!) e lo vedo sfrecciare per 4 o 5 metri, strisciando gli avambracci sulla roccia e finendo dove il nevaio spalanca la sua bocca...
Mi sincero sulla sua integrità fisica (qualche escoriazione ed un taglio su una mano...), ma quella psicologica mostra qualche cedimento...
Decidiamo di cambiare calzatura e indossiamo le scarpette da arrampicata, lasciando in un anfratto di roccia ramponi e bastoncini.
Proseguiamo su terreno stranamente impegnativo, per essere un avvicinamento ad una via di Ailefroide...
Superiamo un'altra placca e giungiamo ad un grande masso incastrato, che costringe ad acrobazie e ad un passaggio in un buco strettissimo... Eccoci così all'attacco della via: studiando meglio la relazione, ci rendiamo conto che quello appena salito in free era il primo tiro della via (4b)...
Alla sosta, ci leghiamo e parto io per la seconda lunghezza (5b):

Ci rendiamo subito conto che la via non è molto plaisir, soprattutto a causa della distanza tra gli spit...
Recupero Paolino, cui salendo parte un piede, con conseguente volo, subito trattenuto dalle corde; quando mi raggiunge in sosta, parte per la terza lunghezza (4c): si alza di 7 o 8 metri, poi si blocca di fornte ad un passo un po' ostico; gli spit sono effettivamente un po' lunghi, ma le due cadute di pochi minuti prima gli hanno evidentemente minato la fiducia.
Si fa calare e mi chiede di passare a condurre, oggi non è la sua giornata.
Salgo una trentina di metri, poi gli spit finiscono... Ecco che ne scorgo un paio alla mia destra, distanti una decina di metri: azz, credevo fosse la variante di attacco che si raccorda al secondo tiro, invece è proprio la mia via che traversava completamente a destra qualche metro sotto i miei piedi...
Traverso, ormai lontano dall'ultimo rinvio, facendomela sotto: con alcuni passi delicati, eccomi all'agognato spit, a destra del quale scorgo la sosta, da cui recupero il compagno.
Attacco il quarto tiro (5b), decisamente verticale, sempre in placca:

I gradi non sono regalati, la roccia è un granito splendido, perfetto, ma la chiodatura è abbastanza psicologica...
La quinta lunghezza (5b) prosegue sullo stesso stile, ma la mia fiducia nella tenuta del piede aumenta, mi diverto di più; raggiungo una bella sosta nuova Raumer, a catena e anello di calata, proprio vicino a degli splendidi fiori arancio, e recupero il socio; decidiamo di lasciare i pesanti scarponi appesi alla sosta, per alleggerirci un po' le spalle:

Il sesto tiro (5b) parte con una placca verticale, da affrontare su piccoli appoggi:

Alle nostre spalle, il sole invade la piana di Ailefroide, dove il campeggio comincia ad animarsi:

Doppio una sosta datata, supero una cengia erbosa che divide la parete ed affronto la grande lavagna scura che segue; è uno dei tratti più impegnativi, in quanto ho già percorso quasi 50 metri: Paolino non mi vede più, le corde sono pesanti e mi tirano verso il basso, la placca è tutt'altro che banale...
Addirittura, sentendo che il peso delle corde mi sbilancia, invece di seguire la linea degli spit, che piega un po' a sinistra e poi torna a destra, decido di salire su diritto; contrasto meglio il peso delle corde spingendo verticalmente sugli appoggi appena accennati, spalmato in aderenza, ma se volassi... non oso immaginare le conseguenze, come non manca di farmi notare l'amico quando mi raggiunge:

Settima lunghezza (5c): la placca si raddrizza, gli appigli non esistono, gli appoggi sono un'idea: in realtà occorre fidarsi totalmente dell'aderenza della scarpetta:

Dopo i primi tiri, segnati da maggior incertezza e paura di volare, ora vado piuttosto rapido, sia per aver fatto l'abitudine all'aderenza di questa vera e propria tesi di laurea in "aderenza su placca su granito", sia per la stanchezza ed il dolore ai piedi che mi impone di non indugiare più nemmeno sui punti difficili.
Attacco l'ottava lunghezza (5c), che inizia con una protuberanza, sempre in placca:

Giungo in sosta, comincio ad essere stanco, fortunatamente meteo-france ha azzeccato le previsioni: splendido la mattina, qualche innocua velatura nel pomeriggio.
Paolino mi raggiunge e beviamo qualcosa:

Cominciamo ad agognare la fine della via.
Nono tiro (5b ): manco a dirlo, salgo in placca, con difficoltà decrescenti; una breve dulfer mi conduce in sosta, finalmente comoda, dove Paolino giunge dolorante ai piedi; finalmente può togliere le scarpette mentre mi assicura: la sua espressione la dice lunga sulla dura giornata che stiamo vivendo:

Sopra di noi, la decima lunghezza (4c ) mi offre un po' di tregua, con un'arrampicata più varia (fessure, un diedro-camino appena accennato) e difficoltà più contenute, anche se per la verità la via è molto continua e non c'è questa grande differenza tra i tiri più duri e quelli più morbidi...

In pochi minuti sono in sosta e Paolino mi raggiunge:

In realtà la parete vera e propria sembra finire qui e Paolino non manca di farmelo notare :-)
Di fronte a noi la cuspide finale della montagna (oddio, montagna no: è un contrafforte del Pelvoux (m 3.943), dove peraltro sta salendo il nostro grande amico Wil...):

Ma io ormai sono caldo, "in the zone", così spingo per finire la via: sulla parete scura di sinistra, sale l'undicesima lunghezza (5c).
Ne raggiungo la base, salgo prima verso destra, rinvio alla mia sinistra, traverso a sinistra e mi ristabilisco, tenendo un rinvio per non rimetterci l'astragalo, vista la stanchezza; salgo in diagonale a destra e da qui afferro una buona presa in alto a sinistra: mi ci abbandono ed accoppio la presa con la destra, con le ultime energie mi isso al di sopra dello strapiombo, ringraziando i chiodatori che non hanno messo lo spit al di sopra del passaggio...

Il tiro non è affatto finito: placche lisce mi conducono a 50 metri dalla sosta di partenza, dove trovo l'11-esima sosta, bruttina... Recupero Paolino.
Ormai è fatta, manca solo la dodicesima lunghezza (4c): placca, spigolo, fessura e ancora placca.
E' finita.

Paolino sale veloce, sfinito.

Di fronte a noi, la cima, la via è finita. Sono le 15,20, arrampichiamo da quasi 6 ore.

Sotto di noi, molto al di sotto, la conca di Ailefroide:

L'ultima sosta è ottimamente attrezzata: ci caliamo nel canale sottostante, con una doppia aerea:

Le doppie si susseguono veloci, siamo delle macchine, gli automatismi sono consolidati:

Le calate sono 9.
Abbiamo qualche problema solo per l'ultima, la relazione non è chiara, mi calo da una parte e devo risalire fino ad un'altra sosta, recuperandomi la corda nel discensore e nel machard...
Alle 19,30 siamo a terra, in tutti i sensi...
Con un'ulteriore calata in doppia risolviamo il problema di ridiscendere il tratto maligno che ha visto volare Paolino; ritroviamo i nostri ramponi, li indossiamo e scendiamo tranquilli, mentre chiamiamo casa per avvertire che non torneremo certo presto...
Un'ora dopo, ci sfamiamo voracemente al McDonald's di Briançon.
Torniamo a casa dopo mezzanotte.

domenica 21 giugno 2009

CONTRAFFORTI di LAUSA BRUNA (m 1.500): Due di Cuori


Domenica 21 giugno 2009




Io e Paolino l'Alpino

Quando la malattia raggiunge livelli devastanti e definitivi, può succedere che uno vada in vacanza in Sardegna per 8 giorni...

... e che torni con il traghetto la domenica mattina: sbarco alle 7,30 a Genova dopo aver dormito poco e male.
Ecco, a questo punto che fa?
Scarica le valige da mare e parte a razzo alla volta delle pareti della Valle Stura!

In realtà era tutto premeditato, avendo lasciato una macchina in garage carica con tutte le attrezzature da montagna, prima dell'imbarco...

Manco a dirlo, il meteo non è dei migliori... Un piccolo vantaggio nel partire tardi è poter studiare la situazione meteo in tempo reale (webcam, forum, siti vari, occhio nudo): torniamo ai Contrafforti di Lausa Bruna (m 1.500), a bassa quota.

E' passato mezzogiorno quando risaliamo la pietraia verso le vie:

La temperatura è buona, è abbastanza soleggiato e l'aria è frizzante.

Sopra di noi, le pareti di gneiss:

Dopo 20' eccoci all'attacco della via Due di Cuori (6a max 5c ob D+ 8L 310 m):

Ci leghiamo, parte Paolino:

Il primo tiro (5c) è caratterizzato da alcuni zig-zag e, come molti altri, è decisamente lungo.

Mi chiedo il motivo di attrezzare tiri così lunghi, molti di 50 m...

Salito un facile sperone abbattuto, Paolino supera un muretto ed una rampa verso sinistra, si porta poi su una placca verso destra un pò più ripida e, con un passo delicato, esce in esposizione sul filo, lo doppia e, dopo smadonnamenti vari causa tiraggio delle corde, traversa a destra verso un albero con cordone, dove si trova la sosta:


Ecco la sosta, da cui parto in traverso salendo leggermente verso destra per il secondo tiro (4c).

La roccia non è granché, completamente ricoperta di muschio ed erba, a parte il tipico lichene di queste zone, che però "tiene" bene il piede.

Dopo il traverso, mi porto su una bella placca, che risalgo con divertente arrampicata in aderenza, fino alla comoda sosta su terrazzino:

La terza lunghezza è di puro trasferimento: camminiamo verso sinistra fino a portarci sotto la parete, dove sono visibili gli spit.

Paolino vince una scaglia verticale, poi prosegue lungo il quarto tiro (5c), in placca:

Un vago diedro conduce sotto ad un tetto, che superiamo con movimenti atletici: un po' faticoso, ma ben manigliato:

Dalla sosta, studiamo la quinta lunghezza (6a): superate le prime roccette inizialmente abbattute, affronto il muro che segue, verticale, in leggera diagonale a destra; ne esco a sinistra quando diventa un diedro, sotto lo spit, con passo tutt'altro che banale; scalo poi un muretto a cannelures, raggiungendo una placca compatta, liscia come uno specchio, che si supera leggermente da sinistra verso destra.

Anche questo tiro è lunghissimo, per cui arrivo alla placca liscia dopo aver percorso oltre 40 m: è spittata bene, ma un volo sarebbe comunque lungo, 40 m di corda dinamica la rendono un elastico...

Questo penso mentre provo a passare: dopo tentativi e ripensamenti, salgo deciso e, complice un piedino malandrino poggiato sullo spit, mi isso al di sopra dell'ostacolo.

La placca si abbatte fino alla comoda sosta in cima al risalto, dove recupero Paolino:

Procedendo sempre a comando alternato, Paolino sale il sesto tiro (5c): supera direttamente un muretto ed una placca fin sotto ad un breve strapiombo, dal quale si esce verso destra, con un bel movimento ed una tallonata col piede destro; sopra si trova la sosta.

La settima lunghezza (3b) è un traverso di trasferimento di una decina di metri verso destra.
Paolino mi raggiunge, poi riparto per l'ottavo ed ultimo tiro (5b), ancora di 50 m.

Scalo una bella parete in placca lavorata, leggermente verso sinistra:

Mi porto quindi sul filo dello spigolo, che seguo fedelmente fino a dove si esaurisce:

Paolino mi raggiunge:


Foto di vetta, in cima allo sperone, quando sono le 17,15:

Uno sguardo agli splendidi prati verdi di fronte a noi, verso la Maladecia:

Scendiamo con 3 calate in doppia lungo la via Open Your Mind:

Arriviamo a casa giusto in tempo per vedere la Nazionale prendere 3 pere dal Brasile...

sabato 6 giugno 2009

PUNTA MARGUAREIS (m 2.651): Canale dei Genovesi e Canale dei Torinesi



Sabato 6 giugno 2009



Io e Paolino l'Alpino



Ancora meteo piuttosto avverso, ma ormai ci ribelliamo: si va al Marguareis!
Le previsioni lasciano uno spiraglio di speranza, in questa zona: sveglia "alpinistica", alle 4,30, che purtroppo preclude a Wil la possibilità di essere dei nostri.
Ma non si può proprio fare diversamente: anzi, praticamente tutti salgono la montagna in due giorni, dormendo al Rifugio Garelli (m 1.970), mentre noi, nonostante lo scarso allenamento stagionale alla fatica, optiamo per la volata unica, in giornata.
Passata la Certosa di Chiusa Pesio, poco dopo le 6,00 siamo al Pian delle Gorre (m 1.032), dove sorge l'omonimo rifugio, raggiungibile in auto:

Alle 6,40 siamo in marcia; il cielo è abbastanza sereno, le nuvole sono concentrate proprio attorno alla vetta del Marguareis (m 2.651)...
L'idea è di salire il Canale dei Genovesi (45° PD+ 400 m), toccare la vetta della Punta Marguareis (m 2.651) e scendere lungo il Canale dei Torinesi (40° PD- 200 m).
Decidiamo (saggiamente) di lasciare le racchette da neve in macchina, già così ci aspetta un dislivello di tutto rispetto (oltre 1.700 m, calcolando la perdita di quota dopo il rifugio).
Tra sprazzi di sereno e nuvole che avvolgono la nostra meta, saliamo abbastanza veloci:

Alle 8,30 siamo al Rifugio Garelli (m 1.970), in foto con alle spalle il canale che intendiamo salire:

Il rifugio è chiuso; è splendido, il locale invernale è grande e bellissimo, la copertura è una grande vetrata che lascia vedere tutto quanto ci circonda:

Anche la stanza da letto è grandiosa: in ordine, pulita e dotata di ogni comfort:

Ci fermiamo a sgranocchiare qualcosa e bere in abbondanza: è utile al fisico ed alleggerisce lo zaino...
Dopo una ventina di minuti ripartiamo, sempre tra nubi e schiarite, alla volta della nostra via:

Scendiamo verso il Laghetto del Marguareis, da cui si alza il conoide nevoso alla base del Canale dei Genovesi: sono le 9,20.

Paolino verso l'imbocco del canale vero e proprio:

In zona non c'è nessuno, l'ambiente è selvaggio e grandioso:

Il canale piega quasi subito a destra, incuneandosi tra le imponenti pareti di calcare. Alla nostra destra, cerchiamo con lo sguardo l'attacco della via Aste-Biancardi (6a TD 500 m), di cui ho letto soprattutto nei racconti di Gianfranco Bertolotto, depositario dell'alpinismo della zona negli ultimi anni.

Saliamo abbastanza bene, solo cinque camosci ci fanno compagnia...

Saliamo, sempre in alternanza di schiarite e nuvole...

Cominciamo ad intravvedere l'uscita del canale, preceduta dal famoso restringimento con salto roccioso:

La strada percorsa, alle nostre spalle:

La neve ha la consistenza giusta, intorno a noi grandi pareti ci osservano immobili (meno male!):

E' la prima volta che mi trovo in questa valle, è tutto nuovo: le sensazioni sono fantastiche:



Ci siamo quasi: Paolino si avvicina al salto di roccia:

e lo affronta: la corda fissa è sepolta dalla neve:

Eccola:

Superiamo l'ostacolo, oltre il quale poche decine di metri conducono all'uscita del canale:

Sono le 10,50 e con un misto di emozione e soddisfazione siamo fuori, abbiamo salito il Canale dei Genovesi!

Di fronte a noi, a sinistra faccia a valle, la Punta Tino Prato (m 2.595):

Sulla parete, un anello di calata permette di scendere il tratto più complicato del canale in corda doppia:

Appena in cresta, siamo investiti da un vento patagonico, forte e freddo.
La cima della montagna è alla nostra sinistra, uscendo dal canale, lontana un centinaio di metri.
Nel superare il tratto roccioso, la regolazione di un rampone mi è andata fuori posto, per cui devo trafficare non poco con le mani ghiacciate...

Risaliamo con fatica gli ultimi risalti della cresta, in mezzo alle nuvole, quando ecco apparire la croce di vetta:

Sono le 11,10. Ovviamente siamo soli sulla montagna e le condizioni ci impongono una breve sosta: solo le foto di rito ed una frase sul libro di vetta, scritta in due, per evitare che il vento strappasse le pagine...

La vetta della Punta Marguareis (m 2.651), massima elevazione delle Alpi Liguri:

Ora si tratta di orientarsi e di trovare il Canale dei Torinesi (40° PD- 200 m), lungo cui scendere...
Fortunatamente la visibilità ci permette di muoverci sufficientemente bene: una buoba relazione e l'altimetro ci fanno individuare la via giusta:

Purtroppo, però, nel frattempo sopraggiungono veloci nuvoloni scuri che non lasciamo presagire nulla di buono:

Il canale offre una pendenza iniziale non da poco; la neve è decisamente più dura rispetto al Canale dei Genovesi da cui siamo saliti, nonostante l'ora sia più tarda...
Per sicurezza, decidiamo di scendere faccia a monte, utilizzando al meglio la piccozza e le punte dei ramponi:

Dopo pochi minuti, puntuale, si scatena il temporale: tuoni e fulmini, mentre cade un misto di pioggia e grandine, anche se con poco vigore, per ora.
Cerchiamo di accelerare, memori della disavventura durante la discesa dal Pelvoux dello scorso luglio, sempre concentrati ed attenti a non pregiudicare la sicurezza nella progressione.
Finalmente la pendenza diminuisce e possiamo scendere più veloci fino al conoide di attacco del canale:

Alla nostra sinistra, grandi pareti racchiudono e nascondono la via seguita in salita:

Ecco il Laghetto del Marguareis e la valle che stavolta seguiremo in discesa, senza passare e risalire al rifugio:

Foto ricordo al laghetto, mentre indico con la piccozza il Canale dei Genovesi:

Scendiamo veloci, ma il temporale prende forza, fulmini e tuoni ci preoccupano, fino a quando non individuiamo una baita con la porta aperta. Sono le 13,10.
Non appena ci infiliamo all'interno, si scatena il finimondo: una grandinata colossale prende a ricoprire in pochi minuti i pendii di una coltre bianca...
Noi dobbiamo mangiare qualcosa, prostrati dallo sfrozo: siamo al riparo, mangiamo un panino e beviamo in abbondanza, non ci resta che apsettare che si calmi la tempesta.
La grandinata dura ben 2 ore e 20 minuti!
Ormai dovunque si vede oltre una spanna di chicchi di ghiaccio!
Noi aspettiamo al sicuro e non perdiamo il buonumore, dopotutto siamo fuori dalle difficoltà ed abbiamo trovato un provvidenziale riparo.

Finalmente, alle 15,40 il tempo pare offrire una tregua, così ci vestiamo e sgusciamo fuori, ancora con i ramponi ai piedi: seguiamo una lingua di neve, che ci permette di scendere veloci.
Il resto della discesa avviene sotto una pioggerella quasi piacevole.
Ormai nel bosco, a pochi minuti dall'auto, incontriamo una decina di persone dirette al rifugio per salire il canale il giorno seguente: ci fanno i complimenti per la salita in giornata e noi li informiamo sulle condizioni della neve, ammonendoli sul fatto che il canale di discesa richiede molta attenzione.

Purtroppo, leggo il giorno successivo che uno di quei ragazzi avrà un incidente, cadendo lungo il canale di discesa per ben 200 metri, con conseguenze fortunatamente non letali...
Il freddo post-temporale sicuramente ha contribuito a rendere ancora più duro il fondo dei canali.